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I rischi della modernità e i rischi della paura

“Il diritto della paura. Oltre il principio di precauzione” è un saggio che prende in esame la gestione dei rischi nelle società occidentali e nel mondo (Cass R. Sunstein, www.mulino.it, 2010).

“La più odiosa fra le pene umane sta nel comprendere molto senza potere nulla” (persiano contemporaneo di Erodoto).

In un mondo sempre più globalizzato e intricato gli avvenimenti in grado di diffondere la paura sono sempre più frequenti: il cambiamento climatico; l’inquinamento dell’aria, dell’acqua e dei terreni; il terrorismo organizzato e quello atipico; i virus e i cibi geneticamente modificati; ecc.

Il primo riconoscimento internazionale del principio precauzionale ci fu nel 1982, quando l’Onu dichiarò che se le “potenziali reazioni avverse non sono completamente studiate, le attività non dovrebbero essere portate avanti” (Carta mondiale della Natura). Anche nella dichiarazione finale della prima conferenza europea sui “mari a rischio”, si afferma che se “il peggior scenario possibile legato alla conduzione di una data attività è grave abbastanza, allora anche un piccolo margine di dubbio sulla sicurezza di quella attività è motivo sufficiente per sospenderne l’esercizio”.

In genere la gestione politica della paura è un’arte che si fonda sul “paternalismo libertario”, “ovvero un approccio che indirizza le persone in direzioni che ne promuovono il benessere senza sacrificare la loro libertà di scelta… l’assunto dal quale muove questa idea è che spesso la gente mostra di non avere preferenze stabili o ben strutturate… Quando le paure spingono gli individui in direzioni sbagliate, il paternalismo libertario può rappresentare un valido correttivo” (p. 19).

Per un esame scientifico della questione bisogna considerare che da alcune ricerche emerge che “le persone saranno particolarmente sensibili alle perdite che comporta qualsiasi nuovo rischio, o l’aggravamento di un rischio esistente, ma saranno molto meno sensibili ai benefici sacrificati dall’introduzione di una nuova regolamentazione” (p. 62). In particolare “le persone sono molto più disponibili a tollerare i rischi familiari rispetto ai rischi non familiari, anche se entrambi appaiono statisticamente equivalenti” (p. 64). Per questo motivo i grandi rischi legati all’uso dell’auto non ci intimoriscono rispetto a quelli molto più bassi dei viaggi aerei. E molti italiani ignorano che circa la metà delle morti sul lavoro in Italia, derivano dagli incidenti stradali avuti nel tragitto di andata e ritorno dal posto di lavoro.

Del resto ogni cultura pone attenzione a determinati fattori e “Ogni nazione è precauzionale rispetto ad alcuni rischi e non ad altri; e il fatto che uno Stato dichiari di avere adottato il principio di precauzione serve solo a nascondere questa verità incontrovertibile” (p. 34). Ad esempio gli Stati Uniti sono molto rigidi nell’applicazione della garanzie alla sicurezza dei lavoratori, mentre le istituzioni europee sono inflessibili nell’evitare la coltivazione e il consumo umano di organismi geneticamente modificati (OGM). E “le corti europee devono ancora chiarire se il principio di precauzione debba venire applicato in modo da essere sensibile alla possibilità che ponendo sotto controllo un rischio inevitabilmente si determina l’aumento di altri rischi” (p. 38).

Comunque il campo di applicazione del principio di precauzione riguarda tutti gli aspetti della vita umana e quindi anche il famigerato “scontro di civiltà” legato ai tassi di immigrazione (e riproduzione) troppo elevati di alcune popolazioni, o derivante dal terrorismo religioso fondamentalista. E dato che i rapporti tra religione e cultura sono estremamente variegati e complessi è meglio rinviare chi desidera approfondire queste questioni ad un magnifico e approfondito testo di Olivier Roy: “La santa ignoranza. Religioni senza cultura” (2009). Qui è sufficiente dire che in molti casi “la religione è "divorata" dalla cultura e si riduce a una forma vaga di religiosità” (p. 105), ed in altri casi "non è lo scontro fra culture ma la deculturazione del religioso ad essere la fonte della violenza" (p. 159).

Per quanto riguarda la libertà di espressione spero si affermi anche in Europa la saggia filosofia americana: per la Corte Suprema degli Stati Uniti è “essenziale difendere le affermazioni erronee fatte onestamente”, perché “una norma che imponga a chi sottopone a critica dei funzionari pubblici di garantire la veridicità di tutte le sue asserzioni – sotto pena di condanne per diffamazione virtualmente illimitate – comporterebbe come conseguenza […] l’autocensura” giornalistica (Voci, gossip e false dicerie, Cass R. Sunstein, Feltrinelli, 2010, p.85).

Invece al punto di vista economico si può affermare che “Se adottassimo misure costose per far fronte a tutti i rischi, per quanto improbabili, ci impoveriremmo assai rapidamente. In questa prospettiva il principio di precauzione… farebbe piazza pulita di tecnologie e strategie che agevolano la vita dell’uomo, rendendola più comoda, più sana e più duratura”. Inoltre la maggior parte delle persone possiede delle conoscenze e delle esperienze molto limitate per cui la maggior parte delle scelte verranno fatte su base intuitiva, con ampi e pericolosi margini di errore.

Anche lo psicologo tedesco Dietrich Dorner ha dimostrato che quasi tutte le persone costrette a fare delle scelte all’interno di sistemi complessi commettono errori a causa dei limiti della visione a breve termine (i soggetti sono sperimentali e le simulazioni digitali). Del resto le precauzioni non possono essere prese per tutti i rischi poiché le risorse sono limitate ed il semplice fatto di evitare alcuni rischi ci conduce sulla strada di nuovi rischi, come quando si sostituisce un vecchio additivo alimentare con un nuovo additivo che non è stato ancora sufficientemente “testato” nelle infinite interazioni della vita reale (in laboratorio non si può riprodurre il mondo).

Ma in realtà nemmeno i cosiddetti esperti sono molto saggi. Nel 1944 Einstein affermò: “Molte persone al giorno d’oggi – compresi scienziati e professionisti – mi appaiono come colui che ha visto migliaia di alberi senza mai vedere una foresta. Una conoscenza dello sfondo storico e filosofico fornisce proprio quella indipendenza dai pregiudizi della propria generazione dai quali la maggior parte degli scienziati sono afflitti. Questa indipendenza determinata dall’analisi filosofica è – a mio giudizio – il segno di distinzione tra un semplice artigiano o specialista e un autentico cercatore di verità” (tratto da: “Albert Einstein”, a cura di Federico Laudisa, Bompiani, 2010, p. 17).

Così viviamo in un mondo sempre più complesso e in società sempre più multietniche fatte di merci e di persone che viaggiano da un angolo all’altro del pianeta, per cui dobbiamo rassegnarci ad avere a che fare con i problemi della fame, delle malattie e delle morti più o meno accidentali. L’unica cosa che gli uomini possono evitare sono le guerre e in questo modo si eviterebbero anche innumerevoli morti per fame e per malattie.

Perciò, in un mondo iperglobalizzato e “finanziarizzato” dove sempre più persone perdono il lavoro o rischiano di perdere il lavoro, sarebbe meglio ricordare le parole di Simone Weil: “il lavoratore riconosce il proprio simile e ne è riconosciuto. Solo i lavoratori formano una repubblica. Per questo è il lavoro, e non la religione o l’amore, che fonda e fonderà la pace” (Sulla guerra. Scritti 1933-1943, Net, 2005).

Infine ricordo che molti governi purtroppo affidano spesso le loro scelte a vari professionisti legati ai diversi gruppi di potere lobbistici. E non dimentichiamo l’esempio dell’Italia: la dimostrazione angosciante che il pericolo più grande per una democrazia non deriva dal terrorismo, ma da un “popolo inerte” (Louis Brandeis, giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti).

Cass R. Sunstein, costituzionalista, ha insegnato a Chicago e ad Harvard. Dirige l’Office of Information and Regulatory Affairs alla Casa Bianca. Tra i suoi libri: “Voci, gossip e false dicerie” (2010), “A cosa servono le Costituzioni?” (2009) e “Republic.com” (2003).

P. S. – Vuoi diventare Risk Manager? Agli “amanti del rischio” che volessero farne una professione, segnalo il Consorzio universitario www.cineas.it, che promuove la cultura della gestione del rischio e che ha sviluppato dei master di specializzazione nei diversi settori professionali: sanità, finanza, ambiente, assicurazioni, imprese.

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