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 Home page > Attualità > Cronaca > Gli Indignati e i ragazzi del ’48

Gli Indignati e i ragazzi del ’48

Sono arrivati anche da noi, gli "Indignati", nella quasi totale indifferenza dei media che, occupati a riportare i movimenti intestinali della politica di palazzo, dedicano loro solo briciole d'attenzione.

Nei pochi articoli che se ne interessano, abbondano i paragoni tra i ragazzi che occupano oggi i centri finanziari delle nostre città e quelli che sfilavano nei cortei del ‘68 o del ‘77.

Pochissimi hanno colto le fondamentali differenze che esistono tra quel che accade oggi e quel che accadde allora.

Non arrivano alla protesta con soluzioni pronte, gli indignati, non hanno un’ideologia che offra le chiavi di tutto; cercano, con il dibattito, lo studio e il confronto; cercano di definire meglio le proprie idee; elaborano, senza preconcetti, dei progetti (certo criticabili, ma loro non hanno nessuna ortodossia che gli/ci impedisca di farlo) con uno spirito, oddio che scandalo, perfettamente liberale.

Nessuno, oggi, si oppone davvero alle loro proteste; dice che non siano giustificate. Mentre nel ’68 e nel ’77 interi settori della società erano contrari alle rivendicazioni dei ragazzi d’allora, mentre forte era la reazione di chi voleva conservare lo status quo, oggi tutti, in privato anche i banchieri e gli industriali, pensano che sia necessario un cambiamento.

Che il sistema finanziario sia malato e che il nostro modello di sviluppo vada rivisto. Che sia finita l’epoca del più e che l’unica direzione possibile del nostro sviluppo, ammesso che riusciamo ad imboccarla, sia quella che porta al meglio, sempre che sia ottenuto con meno.

I ragazzi del 2011, con tutta l’ingenuità di certe loro affermazioni, danno voce ad un disagio che è di tutti; offrono e chiedono soluzioni a problemi che sono di tutti e lo fanno come dovremmo farlo tutti: dialogando e cercando nuove idee. Nuovi paradigmi.

Sono, oggi, la parte migliore della politica: ragazzi ai quali possiamo insegnare molto dal punto di vista “tecnico”, ma dai quali, per il resto, possiamo solo apprendere. Solo una cosa, dal basso della mia mezz’età di sconfitto, mi permetto di suggerire loro.

Un documento che riassume tutto quel che vogliono, che esprime i loro ideali e le loro aspirazioni, lo hanno già scritto dei ragazzi che avevano vissuto esperienze simili alle loro. Giovani, e meno giovani, costretti a crescere in un regime che sentivano lontano ed opprimente; condannati a rimboccarsi le maniche per sgomberare le macerie lasciategli dai padri o dai fratelli maggiori e a ricostruire. I loro veri ed unici precursori.

Un testo che è quanto di più alto, nobile e poetico, se si è capito cosa sia la poesia, la nostra cultura abbia espresso nel ‘900. Un poema che comincia così: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.

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