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Giacomo Brodolini, il padre dello Statuto dei Lavoratori

Torna la rubrica “Ritratti” con un nuovo articolo di Andreas Massacra, questa volta dedicato all’energica azione di Giacomo Brodolini, esponente politico socialista che nonostante una vita breve (morì di tumore a soli 49 anni) portò nelle istituzioni italiane le idee e le strategie che contribuirono a un ampio sviluppo dei diritti dei lavoratori.

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Questa settimana facciamo una piccola eccezione (di pochi giorni) e scegliamo di presentare Giacomo Brodolini, in occasione del centenario della sua nascita e anche con l’occorrenza che il 24 giugno 2020 la Corte Costituzionale si è espressa nuovamente sul Jobs Act: in questo caso si parla della norma sul criterio di indennizzo in caso di licenziamento illegittimo ovverosia si lambisce di nuovo l’abrogazione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, voluto proprio dall’allora ministro Brodolini. Già nel 2018 la Corte aveva rilevato l’incostituzionalità dell’articolo 3 del Jobs Act, ed ora tale giudizio è esteso anche al licenziamento illegittimo nella forma. Di fatto, e per farla breve, l’indennità risarcitoria basata sulla sola anzianità è incostituzionale, ovverosia essa non può essere l’unico criterio su cui può basarsi l’indennità. Di fatto la Corte ha ravvisato uno squilibrio, come in effetti è, di potere che consente, a fronte di cifre modeste, ad una azienda di licenziare illegittimamente un lavoratore.

Ecco, approfittando di questo episodio parliamo di Giacomo Brodolini.

Brodolini nasce a Recanati il 19 luglio 1920 e muore di tumore l’11 luglio 1969. Dopo la maturità classica è chiamato alle armi come ufficiale di complemento, partecipando alle campagne di Albania e Grecia. Rimpatriato è mandato in Sardegna fino all’8 settembre: è qui che ha i primi contatti con il mondo azionista/socialista e antifascista, in particolare Lussu. Con lo scioglimento del Partito d’Azione cui ha aderito, segue Lombardi e De Martino nel PSI, divenendone funzionario e specializzandosi nelle tematiche sindacali. Ed è proprio la corrente socialista lo pone come coordinatore della CGIL-FILLEA (il sindacato dei lavoratori edili) nel 1950 per poi entrare nella segreteria della CGIL due anni dopo. Nle 1955 diviene vice-segretario, rimanendovi fino al 1960. Parallelamente all’impegno sindacale resta il suo impegno politico: deputato dal 1953 al 1968 e senatore dal 1968 al 1969.

Avendo una “educazione politica” azionista, e continuando a muoversi nel solco di quella tradizione, lascia da canto l’ideologia ma non il suo progetto politico alla luce del quale va letta tutta la sua parabola: in un mondo in cui le strutture produttive sono in rapida trasformazione, è necessario per il movimento dei lavoratori, se vuole mantenere un ruolo di protagonista sociale nell’assetto democratico del paese e se vuole reclamare la propria rappresentanza, riacquistare la propria unità e avere un ruolo non solo di lotta e tutela degli interessi (idea riduttiva e corporativa) ma propositivo, cioè farsi carico e promotore di una complessiva strategia di sviluppo e di un programma di riforme del sistema socio-economico.

Dal 1963 al 1968 è vicesegretario del PSI prima e nel PSU poi, fino al 1968, anno in cui diviene Ministro del Lavoro e della previdenza sociale del primo governo Rumor. La sua conduzione del ministero si rifà alla sua “educazione politica” non avendo alcuna intenzione di svolgere il semplice ruolo di mediatore tra parti sociali ma si impegna nella promozione di una legislazione favorevole al movimento dei lavoratori e di espansione di quello che oggi è chiamato “welfare state”. Brodolini ha capito una cosa: la crescita economica non durerà per sempre e che a quel punto diventerà cruciale per la tenuta sociale del paese la questione dei contratti e delle tutele del lavoratore. La sua azione ministeriale si dispiega su più fronti: in primo luogo l’abbandono definitivo del sistema pensionistico a capitalizzazione a favore del sistema a ripartizione, e introduzione della pensione sociale per gli over 65 con capacità reddituali limitate; in secondo luogo l’eliminazione delle gabbie salariali, percorso poi gradualmente portato a termine nel 1972 ma iniziato da lui; in terzo luogo, la riforma del collocamento della manodopera, che porterà all’approvazione della legge 11 maggio 1970, n. 83 per combattere il mercato in piazza della manodopera (in tal senso solidarizzò apertamente e fattivamente con i braccianti di Avola al seguito della morte di due braccianti uccisi dalla polizia durante una protesta contro il caporalato); infine, la bozza, presentata il 24 giugno 1969 dal titolo “Norme per la tutela della libertà e della dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro” che diventerà poi lo Statuto dei Lavoratori (legge 20 maggio 1970 nr. 300). A dirigere la commissione chiama il professore universitario Gino Giugni. Lo Statuto (diviso in 5 titoli), figlio delle idee di Brodolini, introduce notevoli modifiche sia sul piano delle condizioni di lavoro che su quello dei rapporti fra i datori di lavoro e i lavoratori, con molte disposizioni a tutela di questi ultimi, ed è la base del diritto del lavoro. I permessi studio, i divieti di controllo del lavoratore tramite guardie giurate, divieto di accertamenti diretti da parte del datore di lavoro sulla idoneità e sulla infermità per malattia o infortunio del lavoratore, che deve essere affidata all’ente pubblico… tutte novità da lui concepite, almeno idealmente. Tra queste anche l’articolo 18:

«Ferma restando l’esperibilità delle procedure previste dall’art. 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, il giudice, con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell’art. 2 della legge predetta o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro.

Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno subito per il licenziamento di cui sia stata accertata la inefficacia o l’invalidità a norma del comma precedente.

In ogni caso, la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione, determinata secondo i criteri di cui all’art. 2121 del codice civile.

Il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al comma precedente è tenuto inoltre a corrispondere al lavoratore le retribuzioni dovutegli in virtù del rapporto di lavoro dalla data della sentenza stessa fino a quella della reintegrazione.

Se il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell’invito del datore di lavoro non abbia ripreso servizio, il rapporto si intende risolto. La sentenza pronunciata nel giudizio di cui al primo comma è provvisoriamente esecutiva.

Nell’ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all’art. 22, su istanza congiunta del lavoratore e del sindacato cui questi aderisce o conferisca mandato, il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di merito, può disporre con ordinanza, quando ritenga irrilevanti o insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.

L’ordinanza di cui al comma precedente può essere impugnata con reclamo immediato al giudice medesimo che l’ha pronunciata. Si applicano le disposizioni dell’art. 178, terzo, quarto, quinto e sesto comma del codice di procedura civile.

L’ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la causa.

Nell’ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all’art. 22, il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al primo comma ovvero all’ordinanza di cui al quarto comma, non impugnata o confermata dal giudice che l’ha pronunciata, è tenuto anche, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di una somma pari all’importo della retribuzione dovuta al lavoratore.»

Successivamente destrutturato dalla Riforma del Lavoro del 2012 di Elsa Fornero e abrogato il 29 agosto del 2014, in seguito alla promulgazione e attuazione del Jobs Act da parte del governo Renzi, evidentemente non del tutto in linea con i principi costituzionali.

Quando Ugo La Malfa una volta rimprovera Brodolini di essere di parte come Ministro, lui risponde, che da socialista è effettivamente di parte: «Da una parte sola, quella dei lavoratori». Una parte che il governo Renzi non ha voluto rappresentare.

1-Edgar Morin: il filosofo della complessità.

2 -Sultan Galiev: il protagonista dimenticato della Rivoluzione Russa.

3 – Giacomo Brodolini, il padre dello Statuto dei Lavoratori

 

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