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Francia | La tracotanza di Macron

Emmanuel Macron ha conquistato un ruolo centrale nella vita politica francese in seguito alla netta affermazione nel ballottaggio presidenziale contro Marine Le Pen a inizio maggio e alla conquista di un’ampia maggioranza parlamentare dal suo partito, La Republique En Marche! (LREM), frutto di una completa evaporazione dei socialisti e del netto ridimensionamento di Les Republicains.

 Entrato a passo di carica nella stanza dei bottoni, Macron ha sin dalle prime battute contraddistinto la sua azione di governo con una forte personalizzazione dell’agenda politica del suo governo, formalmente guidato dal Primo Ministro gollista Edourard Philippe.

L’uomo nuovo dell’establishment ha dimostrato di non tenere in grande rispetto i tradizionali meccanismi che regolano la vita politica francese: la testimonianza più lampante in questo senso è stata la decisione di procedere alla completa occupazione delle cariche istituzionali da parte della coalizione di maggioranza LREM-MoDem e, dopo gli scandali che hanno coinvolto gli alleati e il loro leader Bayrou, nell’egemonizzazione del governo da parte della prima delle due formazioni. Macron non concepisce altra logica di potere se non quella dei rapporti di forza e rappresenta, in questo senso, un tipico leader dell’era globalizzata: la sua concezione della massima carica istituzionale francese, oltre ad essere contraddistinta da una forte personalizzazione, è improntata sulla volontà di egemonizzare il futuro corso politico della Francia.

Macron convoca, in maniera assolutamente irrituale, il Parlamento in seduta comune alla Reggia di Versailles e si rivolge nei suoi confronti in maniera simile a un monarca del passato di fronte agli Stati Generali; Macron non lancia proposte politiche, ma sentenze; Macron intende procedere a passo di marcia per garantire piena applicazione a un programma politico fondato su una nuova ondata di riforme di matrice neoliberista nel mercato del lavoro e sullo sdoganamento nel diritto civile degli istituti dello “stato d’emergenza” prima che il suo bluff sia scoperto in maniera totale.

Di fronte al dilagare della demagogia macroniana, i commentatori più attenti hanno scoperto il vero volto dell’uomo che riprometteva di presentarsi come il campione della democrazia liberale, del progressismo, dell’Europa unita da lui sconfessata con il triste episodio di Ventimiglia: Marcello Foa ha parlato di “tendenze autoritarie”, approfondendo la critica rivolta nei suoi confronti da numerosi esponenti del Partito Socialista e della coalizione La France Insoumise, che hanno stigmatizzato la sua “deriva bonapartista”. A massima conferma della sua osservazione riguardante Macron, Foa ha riportato lo scarno ma bruciante comunicato con cui l’Eliseo ha annullato la tradizionale conferenza stampa del 14 luglio, decisione giustificata con la necessità di tutelare il Presidente stesso, dato che “il suo pensiero è troppo complesso e non si presta al gioco domande-risposte dei giornalisti”.

Macron risulta preda di una fortissima hybris, di una tracotanza che lo ha portato a sentirsi praticamente invulnerabile: “l’état c’est moi”, sembra dichiarare Macron mentre pronuncia il suo “discorso sullo stato della nazione” di fronte ai suoi personali Stati Generali, al suo parlamento dominato dagli outsider e dai transfughi che dominano la coalizione LREM, maggioritaria in un contesto caratterizzato da una crescente sfiducia della popolazione francese per il sistema politico. In questo contesto, mentre socialisti e gollisti sono in preda al più totale sbandamento e in seno a Les Republicains è in atto un’aspra discussione tra i filomacroniani e coloro che vogliono proseguire una linea di duro contrasto del Presidente, la forza d’opposizione più agguerrita appare la coalizione La France Insoumise guidata da Jean-Luc Mélenchon.

Per quanto riguarda Macron, la sua linea di aperto protagonismo è destinata a portarlo inevitabilmente al disastro: l’esasperazione di un programma politico di natura fortemente reazionaria rischia di esacerbare ulteriormente le tensioni interne alla Francia e c’è da scommettere che nei prossimi anni la partita, a Parigi come nel resto del Paese, verterà sullo scontro tra il palazzo e la piazza.

Andrea Muratore

Questo articolo è stato pubblicato qui

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