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Crescita record per l’economia cinese

Crescita record per l'economia cinese

La crescita dell’economia cinese ha raggiunto l’11,9% nel primo trimestre 2010 rispetto a un anno prima. Lo ha annunciato l’Ufficio nazionale di statistica del Dragone.

Nel quarto trimestre 2009, il Pil si era già attestato su un +10,7%, +8,9% in quello precedente.

Se gli investimenti pubblici e il credito facile delle banche hanno tirato la ripresa, ora la crescita sembra più equilibrata, basata sui consumi domestici e sul rilancio dell’export.

Tra l’altro, l’inflazione è cresciuta meno del previsto: 2,2% contro le previsioni del 3%. Aumentano però in maniera sostenuta i prezzi di fabbrica dei prodotti industriali: dal 5.4% al 5.9% in marzo. Segno che l’economia è sempre a rischio surriscaldamento, con gli analisti che agitano il consueto spettro della bolla immobiliare.

Si pensa quindi che le autorità cinesi dovranno rallentare le politiche di stimolo: ridurre il credito e controllare gli investimenti.

Tuttavia il governo cinese tende a inserire gli indicatori economici in un contesto più ampio, fatto anche di problemi politico-sociali.

E’ difficile per esempio che il terremoto in Qinghai non abbia ricadute.


Sappiamo quanto sia perverso il calcolo del Pil: si considera “ricchezza” anche ciò che pone rimedio ai disastri, spesso senza considerare il disastro stesso. Se per esempio la bonifica di un lago inquinato crea reddito per un’impresa di servizi ambientali, ecco che il Pil si impenna.

Ora, è probabile che gli investimenti per la ricostruzione in Qinghai saranno ingenti, stimolando ulteriormente il settore delle costruzioni e facendo segnare un’ulteriore crescita. E’ ricchezza reale?

Contestualizzando la ricchezza, le autorità cinesi hanno quindi definito “molto complessa” la ripresa.

In un rapporto emesso mercoledì (prima che giungesse notizia del terremoto) dal consiglio di Stato – organismo presieduto dal premier Wen Jiabao – ne sono elencati i rischi.

La “grave” siccità nella Cina sud-occidentale, il problema di come aumentare la produzione di grano e il reddito delle popolazioni rurali vengono citati al fianco dei timori per l’inflazione crescente, i rischi finanziari e la crescita della disoccupazione.

Per risolvere i problemi, il governo darà priorità alla conversione dell’economia in senso qualitativo: insomma, meno crescita a tutti i costi, più redistribuzione della ricchezza e innovazione.

La Cina resta, almeno nella percezione dei suoi governanti, un Paese a cavallo tra primo e terzo mondo: deve pensare soprattutto a equilibrio e stabilità.
“Il governo introdurrà misure per stimolare la produzione agricola, migliorare la gestione e la regolazione finanziaria, stabilizzare i prezzi, controllare la crescita dei valori immobiliari, espandere la domanda interna, promuovere ulteriormente la ripresa economica, aumentare il risparmio energetico e il taglio delle emissioni, accrescere le politiche di apertura e migliorare la qualità della vita delle persone”.

E’ una visione complessiva nella quale non trova posto la rivalutazione dello yuan, di cui si parla tanto negli Usa e che condiziona i rapporti tra Pechino e Washington. Non significa che non ci sarà. Ma dovrà inserirsi in questo equilibrio, come da “società armoniosa” del presidente Hu Jintao.

Le ricette puramente monetarie – sembra dirci la Cina – non funzionano per la crescita di una società complessa e per i rapporti economici internazionali.

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