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Le scuole per l’infanzia costano troppo

Frequentare le scuole per l’infanzia (asili nido e mensa scolastica nelle scuole materne ed elementari), per l’anno scolastico 2021-2013, costerà, mediamente, alle famiglie italiane 324 euro al mese (3.240 euro l’anno), una somma piuttosto consistente quindi, che inciderà per il 10,1% sul budget netto familiare. Questo dato emerge da un’indagine dell’osservatorio periodico sulla fiscalità locale della Uil, servizio politiche territoriali, sui costi della scuola per l’infanzia nelle 21 città capoluogo di regione. L’indagine ha preso a campione una famiglia con circa 36.000 euro di stipendio pari ad un reddito Isee (indicatore della situazione economica equivalente) di 17.812 euro, composta da due lavoratori dipendenti, con due figli a carico.

Guglielmo Loy, segretario confederale della Uil, esamina più dettagliatamente i risultati dell’indagine.

Per la frequenza di un asilo nido comunale si spenderanno in media 251 euro mensili che equivalgono al 7,8% del reddito familiare, in aumento dell’1,6% rispetto a due anni fa.

Mentre per le mense scolastiche nelle scuole materne ed elementari la retta mensile costerà mediamente 73 euro equivalenti al 2,3% del reddito disponibile, in aumento del 4,3% rispetto a due anni fa.

Ovviamente i costi variano sensibilmente da città a città, anche in relazione ai servizi offerti.

Dai dati elaborati, spicca Bolzano dove frequentare le scuole dell’infanzia, tra asili nido e mensa scolastica nelle materne ed elementari, per la famiglia campione, costerà mediamente 478 euro mensili (il 14,9% del budget familiare), ad Aosta 459 euro (il 14,3% del budget familiare), a Torino 453 euro (il 14,1%), a Potenza 418 euro (il 13%), a Firenze 412 euro (il 12,8%).

Rette più basse a Catanzaro dove frequentare la scuola dell’infanzia costerà mediamente 138 euro (il 4,3% del budget familiare), a Roma 176 euro (il 5,5%), a Cagliari 214 euro (il 6,7%), a Bari 228 euro (il 7,1%), a Napoli 235 euro (il 7,3%).

Secondo Loy, l’alto costo delle rette, così come in molti casi gli aumenti tariffari, che sono solo in parte dovuti ai tagli dei trasferimenti agli enti locali, si ripercuotono in maniera piuttosto pesante sulla tenuta del potere di acquisto dei salari.

Senza considerare, inoltre, che questo problema, insieme all’ancora non sufficiente diffusione delle rete dei servizi per l’infanzia, soprattutto nel Mezzogiorno, ha delle pesanti ripercussioni dirette ed indirette anche sull’occupazione in generale e, in particolare su quella femminile.

C’è bisogno, quindi, rileva Loy, di una maggiore diffusione dei servizi per l’infanzia in tutto il territorio nazionale a iniziare dal Sud dove vanno resi da subito disponibili i 400 milioni di euro di fondi comunitari del piano per il Sud, oltre a un forte contenimento delle rette e delle tariffe locali in generale, perseguendo una politica di razionalizzazione della spesa pubblica a partire dai costi della politica.

I costi che le famiglie devono sostenere per le scuole dell’infanzia hanno raggiunto senza dubbio un livello troppo elevato. E, diversamente da quanto sostiene Loy, io credo che il motivo principale sia rappresentato dalla notevole riduzione dei trasferimenti concessi agli enti locali, che ha interessato anche i finanziamenti per le spese sociali, in seguito ad una politica di tagli indiscriminati, attuata ormai da diversi anni dai governi nazionali. Pertanto, in primo luogo, occorre interrompere una politica di questa natura, privilegiando realmente un’azione di revisione della spesa pubblica, l’ormai molto nota “spending review”, colpendo davvero gli sprechi.

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