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Caso Moro: servirebbe una commissione d’inchiesta solo sul “mondo” di via Massimi

Come ha riportato Adnkronos Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, a seguito di denuncia esposta da due ex coniugi romani per diffamazione aggravata, ha disposto l’archiviazione del procedimento nei confronti di Gero Grassi.

La vicenda nasce da una intervista rilasciata dall'ex parlamentare Gero Grassi nella quale lo stesso ipotizzava, sulla base degli esiti degli accertamenti della Seconda Commissione Moro, che la vera prigione di Moro non sia stata in via Montalcini, ma in via Massimi, a Roma, e che i due denuncianti potessero essere stati tra i suoi carcerieri.

Il passaggio interessante della sentenza in questione è il seguente: "la vicenda del rapimento e dell'omicidio Moro è una delle pagine più buie della storia della Repubblica e qualsiasi elemento di valutazione appare del tutto pubblicabile ai fini di arricchire il dibattito pubblico, dovendo prevalere il superiore interesse alla conoscenza da parte dei cittadini, tutti, di possibili alternative e aggiuntive ricostruzioni di una pagina tanto dolorosa per la storia del Paese". Dunque l'interesse della ricerca pubblica sul caso Moro deve prevalere su ogni altra questione. Su via Massimi che è oggetto anche di visite da parte di chi è affascinato dal caso Moro, il più contorto e complesso della Repubblica italiana per la molteplicità di attori in gioco, poiché le BR sicuramente ne sono state protagoniste, ma non gli unici attori in campo, forse si dovrebbe realmente focalizzare una indagine ad hoc. Basta leggersi uno stralcio del doc XXIII della XVII legislatura della relazione sulla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle Mafie che si interessò anche della questione di Moro, atti noti a chi si interessa da sempre del caso Moro, per farsi solo una minima idea di che concentrazione di incredibile di soggettività lì vi è stata, per non parlare di ciò che è stato visto anche nel giorno del sequestro di Aldo Moro e del massacro della sua scorta.

Ad esempio alle 15.15 di quel giorno, il 16 marzo del 1978, la Sala operativa della Questura di Roma comunicò che un anonimo aveva riferito che in via Massimi, via Anneo Lucano, via Licinio Calvo “sarebbero nascoste le Brigate rosse e lui ci avrebbe indicato l’appartamento che [sic!] si accede attraverso un garage”. Come la Commissione aveva osservato le palazzine in questione appartenevano all’Istituto per le opere di religione. Furono realizzate dalla s.r.l. Prato Verde, Via della Conciliazione 10, riconducibile allo I.O.R, di cui era amministratore unico Luigi Mennini, padre di don Antonello Mennini, che, come noto, ebbe un ruolo importante nella vicenda Moro. Ed in questa storia di coincidenze ve ne sono fin troppe. Si legge: Nel 1978 il complesso edilizio in Via Massimi 91 – successivamente frazionato – aveva accessi non solo dalla stessa Via Massimi, ma anche da Via della Balduina, tramite un cancello contrassegnato dal civico 315 e da un’autorimessa di cui al civico 323 di quest’ultima strada. Nel tempo, ma dopo il 1978, furono eseguite alcune variazione di accessi, assegnazioni di nuovi civici, nonché sostituzioni di cancelli. Gli accertamenti effettuati dalla Commissione in questione hanno evidenziato la presenza nel complesso di un milieu abbastanza elevato e di alcuni cardinali e prelati, come il cardinale Egidio Vagnozzi, già delegato apostolico negli Stati Uniti e, dal 1968, Presidente della Prefettura per gli affari economici della Santa Sede, e il cardinale Alfredo Ottaviani. Risulta inoltre, da alcune testimonianze, un’assidua frequentazione del complesso da parte di monsignor Paul Marcinkus. Alcune testimonianze indicano anche una frequentazione dei prelati in questioni da parte dell’onorevole Moro e dell’onorevole Piccoli. All’interno del complesso si riscontrano tuttavia anche presenze di altro genere, che potrebbero aver avuto una funzione specifica in relazione al sequestro Moro. Si è in particolare riscontrato che in quelle palazzine abitava la giornalista tedesca Birgit Kraatz, già attiva nel movimento estremista “Due giugno” e compagna di Franco Piperno.Altra coincidenza. Secondo la testimonianza di più condomini Piperno frequentava quell’abitazione e, secondo una testimonianza che l’interessato ha dichiarato di aver appreso dal portiere dello stabile, lo stesso Piperno avrebbe da lì osservato i movimenti di Moro e della scorta. La stessa Kraatz ha ricordato la sua relazione con il Piperno, ma ha escluso che si trattenesse nel condominio.

In oltre ad una serie di personaggi legati alla finanza e a traffici tra Italia, Libia e Medio Oriente va sottolineata la presenza di una società statunitense, la Tumpane company, cessata in data 30 giugno 1982, con attività “servizi vari”, sede legale negli Stati Uniti d’America e domicilio fiscale in Via Massimi 91 a Roma. La Tumpane si identificava con la TUMCO, compagnia americana che nel 1969 forniva assistenza alla presenza NATO e statunitense in Turchia.Tra le altre presenze significative nel complesso c’è poi quella di Omar Yahia (1931-2003), finanziere libico, legato all’intelligence libica e statunitense, e in rapporti anche con gli occupanti dell’appartamento di cui all’interno 4 della Palazzina 3A del civico 96 di Via Massimi. Yahia collaborò lungamente con i Servizi italiani, in particolare col colonnello Sasso. Come ricordato in altra sezione della relazione, il ruolo dello Yahia, ampiamente trattato nella sentenza ordinanza “Abu Ayad”, emerse nelle nelle indagini sulla vicenda dei terroristi palestinesi arrestati a Ostia nel 1973 e consegnati alla Libia. Oltre a collaborare con il SID Yahia assunse nella sua società il colonnello Giovanni Battista Minerva, già Capo ufficio amministrazione del SIFAR e poi del SID, dopo che questi lasciò il Servizio segreto italiano. Yahia fu molto probabilmente la persona che mise in contatto la fonte “Damiano”, che fornì qualificate informazioni sulle Brigate rosse, con i Servizi italiani. La presenza dei suoi uffici in via Massimi 91 conferma la densità delle presenze di intelligence che caratterizzò quel condominio. Senza dimenticare la vicenda di Gallinari, citata in premessa. La Commissione ricordava che “le indagini compiute hanno consentito di identificare due persone, allora conviventi in via Massimi 91, che hanno riconosciuto di aver ospitato, per diverse settimane, nell'autunno 1978, Prospero Gallinari in un’abitazione sita nel complesso. È emerso che furono custodite armi in cantina e che fu fornito supporto al brigatista nel trasporto di una borsa, verosimilmente contenente armi, che fu data a una persona a piazza Madonna del Cenacolo. Stando alle dichiarazioni degli interessati, la crescita della pressione e l’insorgere di timori indussero a chiedere a Gallinari di trovare un altro rifugio. L’episodio della latitanza di Gallinari in via Massimi suscita una pluralità di questioni. Certamente l’indagine ha consentito di scoprire un ulteriore tassello di quell’ara di contiguità, talora propensa a trasformarsi in militanza attiva, seppure “irregolare”, che favorì lo sviluppo del terrorismo brigatista.

Il gruppo armato che si stava preparando a sequestrare Moro ed uccidere gli agenti della sua scorta,Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi, è dunque partito da via Massimi quella mattina? Oppure in via Massimi è avvenuto il luogo in cui il gruppo armato si è ritrovato dopo il compimento del sequestro Moro per fare il trasbordo? Via Massimi è stato un centro importante con una concentrazione significativa di eventi, di presenze, di soggettività, che non possono essere relegate nel canonico mondo delle coincidenze.

Foto Wikimedia

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