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Brasile: democrazia o barbarie

Nel più grande paese dell’America latina oggi, 2 ottobre, si vota in primo luogo per sconfiggere un neofascismo sempre più minaccioso. Se Lula vincerà, il suo compito resta comunque molto complesso: dovrà risollevare un paese devastato dal bolsonarismo e da un modello sociale escludente che estrema destra e comunità evangeliche sono riuscite a propagare.

 

Qual è il Lula che torna sulla scena politica per puntare al Planalto? Quello che ormai propone la concertazione attraverso un complesso sistema di alleanze oppure quello che, negli anni Ottanta, con uno sguardo molto più radicale, guidava il Partido dos Trabalhadores? A chiederselo, su Le monde diplomatique, il giornalista José Natanson.

Eppure oggi, 2 ottobre, la giornata delle presidenziali in Brasile, non è tempo di andare troppo per il sottile. Chi ha a cuore la democrazia non può far altro che votare e sperare in una vittoria di Lula in un paese devastato socialmente, politicamente ed economicamente dalla presidenza bolsonarista. Un altro successo elettorale del Messia Nero distruggerebbe definitivamente il più grande paese dell’America latina. L’augurio è che Lula possa vincere le elezioni, poi si vedrà.

Di certo, però, quel lulismo che, in passato, cercava sempre di moderare i diversi interessi del suo governo, difficilmente basterà per risollevare il paese e, in questo senso, il ticket con Geraldo Alckmin certifica con certezza che l’agrobusiness continuerà a fare il bello e cattivo tempo e che la riforma agraria attesa dal Movimento Sem terra resterà, ancora una volta, nel cassetto, solo per fare due esempi.

In Brasile urge ridurre le fortissime disuguaglianze sociali e la povertà combattendo il capitale, restituire dignità e diritti agli indios, ai contadini, alle molteplici comunità che da anni cercano di resistere, dagli afrobrasiliani ai gruppi lgbt, dai senza tetto ai favelados. Probabilmente Lula, il cui compito si presenta molto difficile se sarà eletto, dovrà quantomeno dare dei segnali e tracciare una strada.

Sia il lulismo sia il governo di Dilma Rousseff (almeno fin quando non è stata estromessa dal colpo di stato che ha condotto Temer al Planalto) avevano cercato di unire stabilità politica, crescita economica ed un processo di inclusione sociale che, per quanto principalmente assistenzialista, aveva fatto uscire dalla povertà estrema milioni di brasiliani. Allora, come del resto oggi, la sfida resta complicata: senza modificare le relazioni di potere o il modello capitalista difficilmente qualcosa cambierà in Brasile, ma, dall’altro lato, un programma radicale non porterebbe a Lula il sostegno di una classe media fondamentalmente individualista e conservatrice.

Servirà il rivale di Lula nelle presidenziali del 2006, il tucano Gerardo Alckmin, a portare voti che altrimenti non arriverebbero, anche se la sinistra brasiliana avrebbe molto più bisogno di figure come Manuela d’Ávila (Partido Comunista do Brasil) e Guilherme Boulos (Partido Socialismo e Liberdade), da sempre protagonisti nei conflitti sociali, per costruire realmente un nuovo Brasile, ma la sfida tra Bolsonaro e Lula è tra neofascismo e democrazia.

A sostenere Bolsonaro, oltre ai militari, ancora una volta saranno le potentissime chiese evangeliche, che hanno giocato un ruolo di primo piano nella destrutturazione della società brasiliana. In più, di fronte ai sondaggi che continuano a indicare Lula come vincitore delle presidenziali, forse già al primo turno secondo alcuni, crescono le voci di un possibile colpo di stato dell’estrema destra bolsonarista.

Per questo, durante la giornata elettorale che vedrà circa 156 milioni di brasiliani recarsi al voto, Commissione interamericana per i diritti umani e Nazioni unite sono già in allerta per monitorare la situazione. Utilizzando una tecnica già ampiamente messa in pratica da tutte le destre del continente latinoamericane, anche Bolsonaro, prima dell’apertura dei seggi, evoca possibili scenari di frode elettorale e, già da tempo, minaccia di non riconoscere l’esito delle urne. Come se non bastasse, anche in questa tornata elettorale, il bolsonarismo ha fatto ricorso in maniera massiccia alle fake news allo scopo di generare paura e confusione negli elettori. Una delle notizie inventate di sana pianta che circola maggiormente in rete riguarda l’improbabile e incredibile ordine di Lula di invadere le chiese e perseguitare i fedeli.

Le presidenziali brasiliane si svolgono in un contesto di crescente fascistizzazione delle istituzioni e della società brasiliane poiché il bolsonarismo è riuscito a far passare il modello di un paese dove un bianco, credente e di buona famiglia rappresenta il Brasile bene.

A testimonianza del clima pesante che si respira in Brasile, lo scorso 16 settembre, Andreia de Jesus, candidata del Partido dos Trabalhadores nello stato del Minas Gerais, ha ricevuto minacce di morte tramite posta elettronica: “Ti uccideremo. Marielle ti aspetta. Ustra vive”.

Si tratta di parole inquietanti perché l’autore del messaggio fa riferimento all’omicidio di Marielle Franco, esponente di spicco del Partido Socialismo e Liberdade, uccisa per le sue battaglie a favore dell’uguaglianza razziale e per la comunità lgbt.

In più, si aggiunge il riferimento al torturatore Brilhante Ustra, deceduto il 15 ottobre 2015 ed uno dei militari più sanguinari della dittatura che Bolsonaro e i suoi sostenitori omaggiano continuamente. Andreia de Jesus, che ha in comune con Marielle Franco la pelle nera e le battaglie per i diritti umani e civili, ha risposto così: “Sono il seme di Marielle, ogni giorno divento più forte e non mi lascio intimidire”.

Preoccupano, inoltre, i quotidiani tentativi di delegittimare il processo elettorale ed una narrazione volta a negare ogni differenza di carattere etnico e razziale in un paese che, per la prima volta da almeno venti anni, presenta un altissimo numero di candidati militari, un ulteriore elemento di intimidazione verso la popolazione. Probabilmente è proprio per questo che in occasione delle votazioni del prossimo 2 ottobre è stato raggiunto il record di candidature nere, indigene e lgbt in un Congresso conservatricon la maggior composizione conservatrice dal 1985, l’anno del ritorno del Brasile alla democrazia.

Ad accrescere la paura contribuiscono non solo le ostentate dichiarazioni di simpatia verso il regime militare del periodo 1964-1985, ma anche le aggressioni a militanti di sinistra, l’aperta liberalizzazione dell’acquisto delle armi da fuoco, che tutto il clan Bolsonaro ha raccomandato soprattutto in prossimità delle elezioni strizzando l’occhio ai Cazadores – Tiradores deportivos – Coleccionadores (CAC), autorizzati ad acquistare anche fucili d’assalto ed un processo di esclusione sociale così sbandierata come legittima che lo stesso Lula, se eletto, non riuscirà a sradicare tanto facilmente. Lo stesso Lula è stato accusato di voler “disarmare il popolo” per aver garantito che, se vincerà le elezioni, si adopererà per ridurre la facilità di acquisto delle armi da fuoco.

Di fronte ad un neofascista come Bolsonaro, che spera di essere rieletto, un ruolo di rilievo lo giocherà Ciro Gomes, a sua volta candidato al Planalto ed accreditato di circa il 5% dei voti per il Pdt (Partido Democratico Trabalhista). La sua proposta di pacificazione politica rischia di favorire Bolsonaro, in un contesto in cui Gomes rappresenta il voto di coloro che guardano ad una terza via, magari di sinistra riformista, tra la classe alta e medio alta, ma che potrebbe finire per sottrarre a Lula i voti necessari per vincere al primo turno.

Inutile dire che l’esito delle elezioni brasiliane rivestirà un peso specifico per tutta l’America latina. A sottolinearlo, tra gli altri, in una bella intervista rilasciata a Brasil de Fato, João Paulo Rodrigues, dirigente del Movimento Sem terra, che afferma con speranza: “ Una sconfitta di Lula finirebbe per desertificare il clima politico, ma una sua vittoria significherebbe guardare con un’altra prospettiva alle lotte future perché migliorerebbero la vita della nostra gente”.

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