• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Società > Ancora sullo Ius Soli: è una battaglia che si può vincere

Ancora sullo Ius Soli: è una battaglia che si può vincere

Volutamente non sono intervenuto (salvo una sola volta) nella discussione provocata dal pezzo precedente sullo Ius Soli, per non condizionarne lo svolgimento che è stato, a tratti, piuttosto vivace. E dunque non ho risposto neppure alle varie domande che qui e lì mi venivano rivolte, anche per non spezzettare troppo il discorso. Lo faccio ora con questo pezzo riassuntivo sulla questione dello ius soli, lasciando per una prossima occasione la risposta sui temi generali dell’immigrazione sollevati da interventori come Santinumi, Paola o Mont.marc. Intanto, mi sembra il caso di distinguere due aspetti del problema: il merito dell’eventuale legge e la procedura da seguire.

Primo problema, il contenuto della legge: lo ius soli è una istanza di principio (cioè che non ci sia una forma discriminatoria di cittadinanza, per cui persone nate in Italia, che parlano italiano, che lavorano e pagano le tasse siano considerati “ospiti” privi di diritti politici), ma ci sono molti modi di realizzare questo obbiettivo. Molte delle obiezioni affacciate negli interventi non riguardano tanto il principio in sé, quanto piuttosto il rischio di abusi o di forzature che possono benissimo trovare il loro correttivo nelle modalità che la legge determina.

In Europa esistono diversi sistemi normativi ispirati al principio dello ius soli che si discostano in più punti. Dunque, a di là della questione di principio, conviene appuntare l’attenzione sulle concrete soluzioni tecniche.

In primo luogo togliamo di mezzo una questione infondata: quella di una sorta di automatismo che potrebbe costituire un attrattore di immigrazione aggiuntiva. Non so cosa proporrà il ministro Kyenge (cui va tutta la mia solidarietà per gli indecenti attacchi ricevuti dai fascio-leghisti), ma penso che nessuno abbia in mente una legge per la quale il figlio occasionalmente nato in Italia da due cittadini extracomunitari, diventa automaticamente cittadino italiano, anche se l’intera famiglia si trasferisce in un altro stato europeo dopo tre mesi.

A pensarci bene, il problema vero si pone dai 18 anni in su: noi già garantiamo il diritto all’assistenza sanitaria anche agli immigrati non cittadini italiani ed anche la scuola ai loro figli (e ci mancherebbe altro!). Quindi, il problema riguarda essenzialmente diritti come quello di voto, di partecipazione a concorsi pubblici, di accesso alle professioni ecc: tutte cose che non riguardano i minori dei 18 anni. Eventuali diritti residuali sin qui non garantiti ai minori non italiani potrebbero essere benissimo attribuiti con altra legge.

Dunque, il problema si pone al compimento del 18° anno. Per la verità già oggi è possibile chiedere la cittadinanza italiana da parte di un cittadino straniero, sia pure con procedure macchinose e complicate, quindi, tutto sommato, si tratterebbe di raccordare la norma sullo ius soli con le normative esistenti razionalizzandole e semplificandole.

Va da sé che stiamo parlando essenzialmente del caso di una persona nata in Italia da cittadini stranieri, che vi sono poi rimasti per molti anni, durante i quali il minore è restato sul suolo italiano ed ha frequentato le scuole dell’obbligo italiane. Dunque, un caso abbastanza preciso. Eventuali casi più particolari (ad esempio un nucleo familiare che si è spostato, nel tempo, in più paesi per tornare in Italia quando il minore compia i 18 anni) possono essere regolati con una normativa integrativa apposita, fissando un minimo di requisiti necessari. E questo risolverebbe anche un altro problema: lasciare all’immigrato la libertà di scegliere se accettare la cittadinanza italiana.

Infatti, ci sono paesi che non concedono la doppia cittadinanza, per cui l’acquisizione di quella italiana comporterebbe ipso facto la perdita di quella originaria e non è detto che l’interessato non preferisca mantenere la cittadinanza d’origine, magari in vista di un rimpatrio. Pertanto, la legge potrebbe subordinare la concessione della cittadinanza alla presentazione di una domanda in questo senso e, quindi, non un obbligo di legge ma una scelta di libertà. Perché no? E non verrebbe meno il principio della libera scelta neppure se anticipassimo la scelta al compimento del 16° anno, una età in cui si può fare benissimo una scelta consapevole.

Ci sono molti altri aspetti particolari ad esempio requisiti come il titolo di scuola media inferiore che dovrebbe assorbire anche quello della conoscenza della lingua italiana. Peraltro la lingua si apprende per effetto della permanenza in Italia: non si resta in un paese per anni senza apprenderne la lingua, magari approssimativamente, ma vi pare che i valligiani che votano Lega parlino un italiano di particolare pregio?

Dunque, come si vede, occorre entrare nel merito per esprimere un giudizio sensato che vada al di là della questione di principio.

E veniamo al secondo punto: le modalità attraverso cui decidere. Su questo – forse qualcuno storcerà il naso - sono d’accordo con Grillo: è opportuno consultare il corpo elettorale. Si tratta di una decisione che incide sulla stessa composizione dell’elettorato, per cui un referendum appare opportuno, anche per non far passare precedenti pericolosi (e sulle leggi elettorali stiamo già facendo troppi pasticci). So perfettamente che ci si espone al pericolo di una bocciatura, ma è un azzardo che si deve fare perché è giusto che questa decisione passi attraverso una maturazione culturale del paese. Diversamente correremmo il rischio di una scelta non condivisa dalla maggioranza degli italiani, il che potrebbe provocare una crisi di rigetto ancora peggiore.

Non è materia sulla quale si può imporre all’elettorato la volontà della classe politica, per di più attraverso un Parlamento così poco rappresentativo (ricordiamoci sempre che qui il 20% del corpo elettorale ha il 54% dei seggi alla Camera ed, in caso di nuove votazioni con questo sistema, le cose non cambierebbero). C’è da capire se sia più opportuno un referendum consultivo di indirizzo, prima che la legge sia approvata o un referendum abrogativo della legge approvata.

La prima soluzione avrebbe il non piccolo difetto di favorire un dibattito assai confuso, proprio perché non si capirebbe bene su cosa si sta votando (e, nel nostro piccolo, anche il dibattito in questo sito dimostra quali equivoci possano venir fuori). Mi sembra dunque preferibile la seconda soluzione, ma se ne può discutere.

D’altro canto, pur sapendo che si tratta di una battaglia difficile, non è affatto una battaglia persa in partenza. Mi ricorda molto lo scontro per il divorzio: a sinistra e fra i laici c’era una fifa blu di perdere per effetto della campagna dei preti, delle sparate di Fanfani, dell’apporto dei fascisti. Ero ritenuto un irresponsabile iper ottimista perché sostenevo che avremmo vinto con il 55% ma, dopo, vincemmo con il 59,1% e vincemmo anche nelle città meridionali, in Veneto e in Sicilia considerate tutte roccaforti del Si. Di colpo l’Italia si scoprì non più cattolica ma laica e ne venne una stagione di altre conquiste di diritti civili.

Io credo che anche questa volta l’Italia sia più avanti dell’immagine che ne abbiamo e dobbiamo lavorare perché, di nuovo, ci sia questa rivelazione di maturità democratica. E’ una battaglia che, come quella del 1974, si può vincere, ma a condizione di recuperare quello spirito combattivo con il quale ci battemmo, sin da un anno prima, per informare la gente, per contrastare le falsità dei preti, per svegliare la sensibilità di molti e creare consenso. E, dunque, tutti ai posti di combattimento senza paura del confronto.

Ps. Per quanto riguarda il voto a Pd ho già detto in campagna elettorale perché non mi convincevano, e non mi ripeto. I successivi sviluppi hanno aggiunto ulteriormente abbassato la mia considerazione nei confronti dei dirigenti e parlamentari di quel partito, il cui deplorevole comportamento ce li ha rivelati ancor più inetti e infidi di quel che sapevamo. Li avevamo giudicati solo opportunisti e affamati di potere. Eravamo stato ottimisti: la realtà è ancora peggiore.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares