Bella intervista, piena di spunti molto
interessanti. Da non giornalista (ma da cittadino militante)
condivido molto l’accento che viene posto sulla qualità
dell’informazione che il web ingiunge alla stampa embedded,
seppure la richiesta è ancora per contenuti, servizi ed inchieste
free cost.
Se osserviamo il panorama della stampa
"indipendente" italiana, Plenel credo però sottostimi la
crisi del Manifesto, che a mio parere si situa, piuttosto che nella
difficile collocazione editoriale nello spazio della crisi della
sinistra, nel fatto che, essendo un quotidiano di opinioni, non sta
reggendo il confronto con le infinite potenzialità del web 2.0, nel
quale proprio le opinioni oggi possono essere postate e
condivise attraverso strumenti a potenziale diffusione di massa,
liberi dagli imbarazzi editoriali e dalle ristrettezze dello spazio
d’impaginazione.
Di contraltare, il successo telematico e
cartaceo, del Fatto Quotidiano ha aperto una breccia interessante e
rappresenta invece proprio, a mio parere, una domanda che incroci
l’evoluzione della comunicazione digitale, con la rigorosa
pubblicazione di inchieste e servizi basati sui "fatti".
Naturalmente ogni giudizio va collocato
nella sua contingenzxa storica, ma forse se c’è una differenza in
questa transizione tecno-comunicativa, è probabile che stia proprio
nella più forte spinta alla ridefinizione dei ruoli degli operatori
dell’informazione, ai quali si chiede sempre di più di avere
un’anima.
Basti vedere ad esempio,
l’impressionante turn-over che interessa coloro che approtano
contenuti su un progetto come Wikipedia, molti dei quali abbandonano
esausti delle estenuanti discussioni su Neutral Point of View dei
contributi, anche quando le fonti sono gerarchicamente definite e ci
si sta muovendo nelle linee guida del progetto.
Ripensare i ruoli diventa sempre più
urgente, pensiamo solo a cosa succederà ai cronisti giudiziari
quando i tribunali (prima o poi) saranno completamente digitalizzati
e e gli atti dei processi potranno essere scaricati con un clic...