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Commento di

su Il suprematismo cristiano (anche) in Michele Serra


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17 dicembre 2014 09:50

@Persio Flacco

Dunque mi lascia la scelta se definirmi ignorante o in malafede. Beh, riconosco che l’ignoranza non mi difetta; di malafede invece ne ho sempre avuta assai poca. Semplicemente trovo la malafede spiacevole, dunque la evito; l’ignoranza invece la subisco come un limite inevitabile. Lei invece, temo, non legge con attenzione.

Non le ho chiesto di definirsi, forse lei non legge con attenzione. Né le ho dato dell’ignorante, ho scritto che ignora probabilmente la realtà delle cose. Se avessi voluto scrivere ignorante (aggettivo attribuitole) invece del sostantivo, lo avrei fatto di mio.

La scuola è un luogo pubblico regolamentato (come ogni altro luogo pubblico peraltro), ma tale regolamentazione, che limita e disciplina l’accesso dei cittadini sotto vari aspetti, non discrimina la confessione religiosa dei medesimi.

Se lo dice lei... Le faccio presente che le ore di religione sono ore di religione cattolica, gestite da personale non reclutato tramite concorso nazionale (come vale per gli altri docenti), ma per nomina legata alla gerarchia cattolica, ovviamente a spese della collettività. Tanto per dirne una. E lei parla di imparzialità. Il giorno in cui vedrò in classe un docente di storia delle religioni reclutato mediante abilitazione e concorso statale, o in alternativa un docente ebreo/musulmano che insegni la relativa dottrina e reclutato dal capo spirituale locale, a spese dello stato italiano, la prenderò più sul serio. Fino a quel momento mi consento un ragionevole scetticisimo.

Ciò significa che riguardo alla laicità dello stato e al rapporto di quest’ultimo rispetto alla manifestazione di identità confessionale del cittadino, al netto delle limitazioni dovute alla funzionalità del luogo, la scuola equivale a qualsiasi altro ambito pubblico.

Infatti nelle strade, normalmente, ci sono insegnanti di religione cattolica che formano le persone, a spese dello stato (ironia). Non mi è mai capitato di incontrarne, sa? Forse vivo nella strada sbagliata.

Le sfugge il fatto che questa non è una disquisizione giuridica: non si limita all’ambito giurisprudenziale, altrimenti non potremmo che prendere atto delle sentenze.

Invece lo è, perché il solo motivo per cui il crocifisso è ammesso in un’aulta scolastica e giudiziaria è una vecchia circolare dell’epoca monarchica che imponeva l’affissione di detto simbolo (accanto alla foto del re). Ed è una questione giuridica perché fino al concordato di Craxi l’Italia era un paese laico ma esisteva la religione di stato, cioè la religione cattolica aveva legalmente un peso diverso rispetto alle altre confessioni. Ora non è più così, fatevene una ragione. Ed è una questione giuridica perché viene impedito di esporre una menorah in un tribunale, viene impedito per legge, in barba a tutti i suoi discorsi buonisti.

Invece possiamo concordare che non è affatto giusto (leggi: contraddittorio rispetto ai principi costituzionali) che tra antiche norme mai revocate e disposizioni legislative mai emanate, in certi uffici pubblici sia imposto il crocifisso e vietato qualsiasi altro simbolo religioso.

Appunto, però la realtà è questa e non è che con i discorsi cambia.

E questo non è giusto.
Al giudice era stata offerta la possibilità di svolgere le udienze in una stanza priva di crocifissi. Giustamente ha rifiutato, dal momento che la sua battaglia aveva un senso più generale.

Veramente il giudice aveva chiesto la rimozione del crocifisso dall’aula del tribunale in cui lavorava o in alternativa di poter collocare la menorah affianco ad esso. Gli sono state NEGATE ENTRAMBE le possibilità. L’unica cosa che è stata rimossa è quel giudice, perché si è rifiutato di fare udienza nell’aula giudiziaria col crocifisso. Come vede, c’è un problema di informazione: a me non risulta assolutamente che gli sia stata offerta la possibilità da lei citata, se mi sbaglio gradirei link alla sentenza che gli avrebbe concesso di lavorare in un’aula giudiziaria priva di crocifisso come da lei veicolato.

Il tema di questa discussione, partita dall’articolo di Serra, non è l’imposizione del crocifisso nei luoghi pubblici bensì il divieto di un preside di fare il presepe nella sua scuola.
Se è laico lo stato non può né imporre un particolare simbolo religioso né può vietare al cittadino la manifestazione della propria identità religiosa nei luoghi pubblici, salvo che il divieto non sia motivato da ragioni non discriminanti.
Non mi pare complicato da capire.

La scuola non è una strada, è regolamentata pure per gli studenti che devono stare in classe e seguire le ore di lezione in base all’orario scolastico. Il presepe costa soldi allo stato e le ore curriculari non devono essere sprecate per attività non prettamente scolastiche, perché gli insegnanti non sono pagati per guardare dei bambini che fanno il presepe ma per fare lezione. A scuola non si va per il presepe.

Proibire il presepe a scuola è stato un errore da talebano laicista. Tanto più se fare il presepe è una consuetudine di quella scuola

Appunto, uso capione degli edifici della pubblica amministrazione: è stato sempre così, perché vietarlo ora?! perchè prima la religione cattolica era religione di stato, ora non lo è più. Il fatto che abbia goduto di privilegi discriminatori nei riguardi di altre confessioni per decenni ora non ha più alcun fondamento. Il concordato di cui parlo è stato firmato bilateralmente, cioè la chiesa cattolica ha rinunciato a tale supremazia, senza costrizione alcuna.


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