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Commento di Persio Flacco

su Il suprematismo cristiano (anche) in Michele Serra


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Persio Flacco 16 dicembre 2014 19:04

@103 - 15 dicembre 10:03

- @Persio Flacco, io non so se le sue risposte sono dettate da ignoranza del problema o cattiva fede. -

Dunque mi lascia la scelta se definirmi ignorante o in malafede. Beh, riconosco che l’ignoranza non mi difetta; di malafede invece ne ho sempre avuta assai poca. Semplicemente trovo la malafede spiacevole, dunque la evito; l’ignoranza invece la subisco come un limite inevitabile.
Lei invece, temo, non legge con attenzione.

- Le faccio presente che lei ha definito, in modo scorretto, la scuola come un luogo pubblico mentre non lo è ed è per questo che ha ricevuto quel mio commento.
La scuola è una un edificio delle istituzioni aperto al pubblico in modo regolamento, non è l’equivalente di una strada. -

La scuola è un luogo pubblico regolamentato (come ogni altro luogo pubblico peraltro), ma tale regolamentazione, che limita e disciplina l’accesso dei cittadini sotto vari aspetti, non discrimina la confessione religiosa dei medesimi.
Ciò significa che riguardo alla laicità dello stato e al rapporto di quest’ultimo rispetto alla manifestazione di identità confessionale del cittadino, al netto delle limitazioni dovute alla funzionalità del luogo, la scuola equivale a qualsiasi altro ambito pubblico.

- Detto questo, dovrebbe ben sapere che nessuno ha il diritto, contrariamente a quanto afferma, di inserire simboli religiosi in edifici della pubblica amministrazione. Nè utenti, né chi ci lavora.
C’è stata una sentenza della cassazione a riguardo, che parla di laicità per addizione (esporre di tutto come suggerisce lei) e laicità per sottrazione (non esporre niente). La conclusione della cassazione è che il crocifisso può essere esposto per il famoso regolamento del 26, che impone anche l’affissione della foto del re.
PER ESPORRE SIMBOLI DI ALTRE RELIGIONI SERVE UN ANALOGO INTERVENTO DEL LEGISLATORE, che deve scegliere cosa sia lecito oppure no. -

Le sfugge il fatto che questa non è una disquisizione giuridica: non si limita all’ambito giurisprudenziale, altrimenti non potremmo che prendere atto delle sentenze. Invece possiamo concordare che non è affatto giusto (leggi: contraddittorio rispetto ai principi costituzionali) che tra antiche norme mai revocate e disposizioni legislative mai emanate, in certi uffici pubblici sia imposto il crocifisso e vietato qualsiasi altro simbolo religioso.

- Questo significa che al contrario di ciò che dice nessuno ha il diritto di esporre simboli religiosi a propria scelta in un pubblico ufficio, non ha potuto farlo neanche un giudice, neanche affiancando la menorah al crocifisso. Gli è stato vietato. -

E questo non è giusto.
Al giudice era stata offerta la possibilità di svolgere le udienze in una stanza priva di crocifissi. Giustamente ha rifiutato, dal momento che la sua battaglia aveva un senso più generale.

- Dal momento che nessun regolamento o legge parla di presepi, ma solo di crocifissi, immagino che la presenza della menorah e del presepe siano allo stesso modo non legittimate da alcun riferimento normativo. Non si capisce per quale motivo però il presepe sia permesso, o meglio si capisce: è una sorta di imposizione sdoganata dall’uso capione. -

Il tema di questa discussione, partita dall’articolo di Serra, non è l’imposizione del crocifisso nei luoghi pubblici bensì il divieto di un preside di fare il presepe nella sua scuola.
Se è laico lo stato non può né imporre un particolare simbolo religioso né può vietare al cittadino la manifestazione della propria identità religiosa nei luoghi pubblici, salvo che il divieto non sia motivato da ragioni non discriminanti.
Non mi pare complicato da capire.

Proibire il presepe a scuola è stato un errore da talebano laicista. Tanto più se fare il presepe è una consuetudine di quella scuola; se la cosa non avrebbe turbato la didattica; se non vi fosse stato impedimento ai credenti di altre confessioni di fare qualcosa di analogo; se fare il presepe (o altro) sarebbe servito come esercitazione pratica.


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