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Commento di

su Primavera a Tindouf: un viaggio tra i saharawi


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14 settembre 2013 13:03

Provo a dare ordine a tutte le cose che vorrei dire.

Innanzi tutto ti dico chi sono. IO scelgo di farlo, non scegli tu per me.

Faccio parte di un’associazione che si occupa di solidarietà col popolo Saharawi da quasi tutti gli anni della tua vita.

Realizzo, come volontaria, da 3 anni progetti di cooperazione.

Sono scesa ai Campi Saharawi 4 volte per periodi di 15/20 giorni,

credo pertanto di conoscere la realtà di cui tu parli meglio di te, sicuramente abbastanza da notare che in qualità di giornalista (?), scrittrice (?), il tuo scritto manca di molte informazioni utili a capire di quale realtà geografica, politica e umana tu stia parlando.

Leggo, rileggo e penso ad una parola: rispetto.

C’è un’etica del giornalista, una del viaggiatore e una dell’incontro umano.

Peccato non trovarne neanche una tra i tuoi pensieri.

Ho riscontrato vistose falsità, che peraltro infangano il lavoro di anni, fatto da alcuni (le modalità di scorta degli stranieri, a seguito del rapimento di Rossella non sono quelle che tu racconti, le modalità di realizzazione dei progetti di adozione a distanza, ecc.) e non credo che questo abbia a che fare col lavoro del reporter o del giornalista, al punto da sembrarmi una mancanza di rispetto nei confronti di chi onora questi mestieri, anche a prezzo di pericoli e sacrifici personali.

Un mio docente universitario (di cui mantengo la privacy per rispetto) diceva spesso: “chi è martello tratta tutti come chiodi”. Il viaggiatore (o lo scrittore, che a suo modo viaggia nelle storie e nelle esperienze) sa che incontrerà una diversità, viaggia per assecondare questa curiosità, per soddisfare questo bisogno. Che senso ha incontrare tradizioni, abitudini diverse, facce diverse in luoghi altri da quelli a cui apparteniamo se tutto quello che sappiamo fare è giudicare questo come sbagliato, e solo perché non lo conosciamo e ci spaventa?

Alcuni dei sentimenti di cui parli li conosco, li ricordo legati soprattutto al primo viaggio ai Campi: la sensazione di piccolezza e fragilità, il diverso scorrere del tempo. Oggi capisco la paura. Ma mai, ho permesso che la mia paura e il mio sentire deformassero la realtà che incontravo. Credo debba essere così. I bambini sono bambini ovunque. Hanno sguardi che indagano, giocano con poco e golosi, leccano i dolci. Perché voler vedere in quella bimba, solo perché è lì (nel posto dove si è scelto di andare consapevolmente ,spero) e perché siamo spaventati dai nostri pensieri, qualcosa di oscuro, preparato, malvagio? Insomma, tutto il contrario di quello che sono i bambini? Ho anche pensato che in fondo non ci sono molte differenze tra te e la bimba: non è stato forse anche il tuo uno sguardo così, davanti a ciò che non conoscevi e temevi? La differenza avrebbe dovuto essere nella capacità di consapevolezza e soprattutto nella tutela. Non si rendono le persone riconoscibili, non si rende un minore riconoscibile, questa è una vergogna e tu ti devi vergognare di questo. Se devi andare nel mondo e dare a tutto e tutti la forma delle cose della tua vita di sempre, stai a casa tua, scrivi della realtà che conosci. Non è obbligatorio avere paura, viaggiare, sperimentare. A mio avviso però è obbligatorio avere rispetto.

Lo scandalo, di cui tu parli, è negli occhi di chi guarda.

Hai perso una grande occasione umana e professionale, mi dispiace per te, ma soprattutto per coloro che hanno dovuto incontrarti.

Io cammino scalza in casa e d’estate nei ristoranti, sotto il tavolo spesso mi tolgo le scarpe, è più forte di me! Adoro mangiare con le mani. Ho 40 anni e se mi dai il dolce giusto sono capace ancora di leccare il piatto (ho 1000 foto da bambina così). Non ho il pene circonciso, anzi non ho il pene, ma posso raccontarti lo stesso qualche aneddoto pruriginoso, di quelli che ti impressionano tanto.

Vivo nella tua stessa realtà e so usare i tuoi stessi strumenti.

Perché non scrivi di me?!

 


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