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 Home page > Tribuna Libera > Zingales, l’Italia e l’unione economica europea

Zingales, l’Italia e l’unione economica europea

L’economista Luigi Zingales ha affrontato le principali problematiche europee e italiane in un saggio molto scorrevole: Europa o no. Sogno da realizzare o incubo da cui uscire (BUR, 2015, 205 pagine, euro 10,50).

L’Unione Europea è oggi dominata dalle burocrazie tedesche, che grazie all’euro possono realizzare una politica di svalutazione competitiva attraverso il livello dei prezzi (p. 134), con effetti simili alle famigerate e passate svalutazioni attraverso i tassi di cambio (ad esempio la lira italiana).

In realtà “La vera colpa dell’euro non sta nell’aver reso non competitive le merci italiane, ma nell’aver permesso alle nostre istituzioni poco competitive di sopravvivere immutate. Qualsiasi organizzazione, sia essa statale o privata, tende alla sclerosi”. In questi ultimi anni le situazioni internazionali sono cambiate molto in fretta, e naturalmente anche in campo economico riesce a sopravvivere solo chi riesce ad adattarsi nei modi giusti, nei tempi giusti.

Tra le altre cose Zingales consiglia l’attivazione di un reddito da disoccupazione europeo per poter compensare gli shock regionali nei paesi aderenti all’euro: “i meccanismi di stabilizzazione non funzionano solo per aiutare i paesi in difficoltà, ma servono anche per ridurre il surriscaldamento delle economie in fase di espansione” (si poteva ridurre l’enorme bolla immobiliare spagnola).

Comunque a mio parere il problema della scarsa produttività italiana non è così grave come viene descritto da molti economisti. La struttura di piccole e medie imprese italiane produce prodotti di nicchia o prodotti di tipo alimentare da moltissimi anni e forse ha già quasi raggiunto il livello di produttività ideale per produrre e riprodurre prodotti di alta qualità. Però la scarsa produttività è dovuta anche all’età media troppo elevata della classe dirigente italiana e alla precarietà di troppi lavoratori giovani, che non avendo nessuna prospettiva futura, non sono formati adeguatamente e non sono incentivati a ricercare miglioramenti a lungo termine per le aziende in cui lavorano.

Inoltre la personalità dell’italiano medio è conservatrice o dettata dalla pigrizia mentale. Inoltre il lavoratore medio viene quasi sempre scelto in base alla bella presenza, alla simpatia, o a certe affinità personali e amicali, oppure addirittura politiche. Quindi non sono le vere capacità professionali che fanno la differenza in Italia. Oltretutto c’è scarsa fiducia a livello politico e commerciale per cui vengono scoraggiati gli investimenti e gli affari. Quasi tutti hanno paura di essere pagati troppo in ritardo, o addirittura di non essere pagati per il lavoro o la merce fornita (o almeno per una buona parte).

E siccome l’italiano medio è piuttosto invidioso, le persone più capaci non vengono assunte dai titolari con meno cultura o da molti responsabili e dirigenti aziendali, che hanno paura di essere messi in ombra da professionisti più giovani che conoscono meglio le lingue straniere e le nuove tecnologie. Così negli ultimi anni le persone più intelligenti e preparate sono andate a vivere e a lavorare all’estero, per guadagnare molto di più e per avere la possibilità di fare carriera (consiglio di approfondire la lettura di www.vivoaltrove.it di Claudia Cucchiarato, Bruno Mondadori, 2010). 

In ogni caso in Italia è presente anche il grosso problema indicato da Zingales: le banche italiane “tendono a finanziare le imprese esistenti, ma non le nuove imprese… a scapito dei progetti innovativi. Questa tendenza viene poi accentuata dalla rete di amicizie, per cui il cliente/socio è spesso anche amico. Quanti prestiti a nuove imprese si sarebbero potuti fare con 1,2 miliardi che Banca Intesa ha dato a Romain Zaleski, amico del presidente di Banca Intesa?” (p. 183).

Bisogna poi aggiungere che le aziende italiane non hanno sfruttato “la rivoluzione dell’Information and Communication Technology (Luigi Zingales e Bruno Pellegrino, 2014). Per Zingales sarebbe questo ritardo la causa principale delle difficoltà economiche italiane. Naturalmente l’ingresso dell’Italia nell’euro e della Cina nel World Trade Organization ha aggravato le cattive gestioni industriali e politiche italiane.

In definitiva per Zingales “L’euro è una creazione politica che non può stare in piedi, almeno nella forma in cui è stato disegnato”. Però ha affermato: “Se oggi non esistesse, non piangerei. Se si tratta di decidere se oggi è meglio per l’Italia uscire dall’euro, la mia reazione è quella degli economisti di Truman: una lista di vantaggi e di svantaggi” (p. 172). Naturalmente è molto diverso “se l’Italia esce e l’euro sopravvive, almeno per un gruppo di Paesi, o se la moneta unica sparisce dalla circolazione”. Di sicuro abbiamo perso una grande occasione negli ultimi quindici anni: con i risparmi ottenuti sui tassi di interesse pagati sui titoli di Stato, i vari governi italiani avrebbero potuto dimezzare l’Irpef (l’imposta sul reddito delle persone fisiche, p. 66).

 

Luigi Zingales è nato nel 1963 a Padova e insegna alla Booth School of Business della University of Chicago. Nel 2012 ha pubblicato Manifesto capitalista (Rizzoli). Nel 2013 è stato eletto Presidente dell’American Finance Association. Collabora con “Il Sole 24 Ore” e “l’Espresso”.

 

Nota – “Anche prima dell’entrata nell’euro, la nostra autonomia monetaria era molto limitata, perché avevamo liberalizzato i movimenti di capitale nel 1987 e avevamo aderito (pur con numerosi aggiustamenti) a una parità con le altre valute fin dal 1979. Data questa situazione, se la Banca centrale tedesca, la Bundesbank, alzava i tassi d’interesse, la Banca d’Italia era costretta a fare lo stesso. Se non lo faceva, gli investitori vendevano lire per comprare marchi” (p. 67).

Per approfondimenti video: www.youtube.com/watch?v=NrWvEO1hCkQ (in lingua inglese); www.youtube.com/watch?v=btLp5a6sACY (intervento all’Accademia Galileiana di Padova); www.youtube.com/watch?v=e7DU5f0GZ9E (conversazioni con Tyler Cowen); www.youtube.com/watch?v=q_LeJuI8GjA (The Future of the Euro, dicembre 2013).

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