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Wikileaks bombarda il Pentagono

91.731. E’ il numero magico, che fa capire quanto pericolosa e drammatica possa essere la pubblicazione da parte di Wikileaks di documenti top-secret riguardanti la guerra in Afghanistan. Quasi 92.000 documenti riservati dati in pasto alla curiosità di tutti: strategie, resoconti, dialoghi, spostamenti di truppe. Il velo su ciò che accade tra le valli afghane è stato alzato, per lo sconcerto di chi quella guerra la sta portando, più male che bene, avanti. E’ incredibile ciò che è accaduto. La super-potenza, il gigante per eccellenza messo a gambe all’aria da un nemico (ancora) oscuro – probabilmente qualche soldato - che ha passato ad un matematico anarchico australiano trentanovenne faldoni e faldoni di carte che potrebbero avere conseguenze ben più serie di un deferimento alla Corte Marziale per alto tradimento. Comprensibilmente, la Casa Bianca ha un diavolo per capello, ed il Pentagono non sa ancora che pesci pigliare. Una falla nella sicurezza nazionale di questo tipo mette a rischio non solo il contingente americano e quelli alleati, ma anche le già delicate ed intricate relazioni diplomatiche con alcuni Paesi dell’area messi all’indice come collaborazionisti dei talebani. Il Pakistan, prima di tutto.

Sappiamo quanto a lungo durò il corteggiamento di Bush a Musharraf per portare Islamabad a ruotare attorno allo stellone statunitense, e quanto difficile fu per il Generale golpista dire sì alle avances della Casa Bianca. Perdere ora il Pakistan significherebbe fare dell’Afghanistan un Vietnam all’ennesima potenza, con conseguenze al momento inimmaginabili. Certo, la connivenza dei servizi segreti di Islamabad con i barbuti di Kandahar era cosa nota, ma si andava avanti facendo finta di non sapere nulla, come nelle migliori commedie teatrali settecentesche. Il motivo? Beh, il Pakistan da sempre esercita la sua longa manus sul vicino Afghanistan, essendo il principale referente dei gruppi radicali sunniti. D’altronde, essendo una potenza nucleare musulmana di 150 milioni di abitanti, non potrebbe essere diversamente. Non è quindi esagerato dire che il Pakistan tiene in scacco l’Occidente, che è in una posizione di forza tale da poter mettere in atto un doppiogiochismo alla luce del Sole. E’indispensabile, per una soluzione del conflitto quantomeno accettabile, fare buon viso a cattivo gioco, dando precise garanzie ad Islamabad che l’Afghanistan continuerà anche in futuro a rappresentare quel retroterra pashtun strategicamente in grado di compensare la perdita (mai digerita) del Kashmir. Con Hamid Karzai a Kabul, però, questa garanzia è messa in dubbio, vista l’amicizia più volte mostrata dal Presidente afghano nei confronti dell’India, storico nemico del Pakistan.

Quello di Islamabad è un ricatto dal quale dipenderà, con ogni probabilità, l’esito della guerra. Ma è un ricatto fatto da chi può permetterselo, da chi tiene il coltello dalla parte del manico. Sta ora agli Stati Uniti, in modo particolare, decidere se abbassare la testa e dare all’amico-nemico pakistano ciò che desidera. Il problema è che ora, con il danno procurato da Wikileaks, tutto diventa più difficile, perché si tratterebbe di una resa americana alla luce del Sole. Una cosa (quasi) mai vista.

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