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Voronin accusa la Romania ed espelle l’ambasciatore. Continuano gli scontri

Cala di nuovo in Europa la cortina di ferro: si è solo spostata ad est di Bucarest al confine con la Moldova.

 

Dopo la giornata di rivolta di ieri quando con l’assalto al parlamento la maggioranza dei giovani moldavi, il più misero stato d’Europa, aveva sperato di poter cacciare l’ultimo governo comunista del vecchio continente, ora l’ordine sovietico, pardon russo, regna nuovamente sovrano a Chisinau. La polizia supportata dall’esercito della piccola repubblica ex sovietica, adeguatamente addestrato ed equipaggiato dall’Armata russa, ha liberato dai manifestanti il Parlamento, operando ben 193 arresti tra di loro, quasi tutti con doppio passaporto romeno e moldavo.

Il primo è stato ritirato e, molto presumibilmente, non verrà più restituito. La rivolta che in un primo tempo aveva fatto sperare in un radicale cambiamento di cose in Moldova - i manifestanti invocavano la messa al bando del partito comunista e la riunificazione con la Romania, nazione di cui la repubblica faceva parte sino allo sciagurato patto Molotov- Ribbentrop del 1940 che la donò a Stalin - si era già tramutata in tragedia ieri sera quando una giovane manifestante era morta asfissiata dall’incendio del Parlamento di Chisinau appiccato dagli stessi studenti.


Nelle piazze delle maggiori città romene intanto gruppi di studenti ed operai si sono riuniti tutta la notte per manifestare a sostegno della libertà dei fratelli d’oltre Prut, il grande fiume che segna il confine tra le due nazioni, scandendo duri slogano contro i regimi comunisti. “ Terroristi degni di un paese fascista e guerrafondaio come la Romania” li ha definiti Vladimir Voronin il presidente a vita moldavo, comunista sino al midollo, vassallo fedele di Mosca, rieletto con percentuali plebiscitarie alle elezioni di domenica scorsa contestatissime in patria ma definite regolari dagli osservatori internazionali.

A proposito stamattina la Commissione elettorale centrale ha ratificato il risultato delle urne, il partito comunista ha riportato una maggioranza schiacciante, escludendo qualsiasi ipotesi di riconteggio delle schede. Se ad una comunità internazionale un po’ troppo prona a Vladimir Putin i risultati delle ultime elezioni moldave sono parsi regolari, ai pochi stranieri veramente indipendenti che domenica scorsa si aggiravano tra le strade di Chisinau, sfidando i rigori di una polizia ancora stalinista, molte cose, come il voto ripetuto più volte anche a nome dei morti non cancellati dalle liste elettorali, sono sembrate non tornare. Oggi comunque il governo moldavo, sostenuto dal ministro degli esteri russo, che ha ammonito la Nato e l’Unione europea a non peggiorare la situazione, ha reintrodotto l’obbligo di visto per uscire ed entrare dal paese unitamente alla revoca della cittadinanza romena per tutti i suoi impiegati pubblici.

Contemporaneamente è stato espulso l’ambasciatore di Bucarest a Chisinau e dunque le relazioni diplomatiche tra i due paesi sono interrotte. I servizi segreti di Mosca avvalorano la tesi moldava secondo cui i gravi disordini di ieri sono stati approntati a tavolino dai romeni. Il Ministro degli Esteri di Bucarest, Cristian Diaconescu, ha sdegnosamente smentito l’indiscrezione e si è consultato con gli alleati a Bruxelles. L’Unione europea ha condannato l’espulsione dell’ambasciatore romeno ma ha privilegiato sinora la strada della prudenza. Con la Russia in gioco non si sa mai. Intanto ad est di Bucarest è rinata la Cortina di ferro.  

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