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Vi piacciono i dati lordi? Ecco qualcosa per voi

I numeretti del giorno sono offerti da un articolo di Enrico Marro sul Corriere di oggi, relativi alla tassazione locale, il famoso federalismo fiscale all’italiana, ed a quella degli immobili. Per avere la misura di quanto è accaduto alla pressione fiscale italiana negli ultimi anni, e procurarvi un sottile brivido al pensiero che l’attuale esecutivo sta lavorando alla local tax che “unificherà” (per l’ennesima volta) la tassazione locale. E chissà perché, ad ogni rivoluzione di questo tipo la pressione fiscale tende ad aumentare.

Tutto inizia dalla legge 42 del 2009, il cui scopo era quello di promuovere un graduale spostamento della tassazione dal centro alla periferia, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione. In soldoni, e per promuovere la responsabilizzazione fiscale di tutti i livelli di governo, riducendo la natura ferocemente derivata del nostro sistema di finanza pubblica, l’idea era quella di decentrare funzioni amministrative e corrispondenti entrate tributarie (potete leggere i mirabili princìpi che informano questa rivoluzione nel testo della legge).

La realtà è stata lievemente differente, come ricordato anche dal presidente della Corte dei conti, Raffaele Squitieri, citato da Marro:

«Non solo non si trovano tracce di compensazione fra fisco centrale e fisco locale ma anzi, di pari passo con l’attuazione del federalismo fiscale, si è registrata una significativa accelerazione sia delle entrate di competenza degli enti territoriali sia di quelle dell’amministrazione centrale»

Non sostituzione ma duplicazione, in buona sostanza. Questa è l’essenza del federalismo all’italiana, che nutre il bestione a tutti i livelli di governo. Ed ecco quindi che l’evoluzione della pressione tributaria, dal 38% del 1990 al 43,5% del 2014, sempre nelle parole di Squitieri, «appare imputabile per oltre l’80% alla dinamica delle entrate locali», che nel 2012 rappresentavano il 15,9% di tutte le entrate, il triplo del 1990. Una parabola esplosiva che porterà il paese dritto sugli scogli, e che è frutto di tendenze “spontanee” aggravate durante la Grande Recessione.

Ma è sulla tassazione degli immobili che i numeri sono particolarmente eclatanti. Ricordate l’indecente balletto del 2013, quando Enrico Letta fu costretto a cedere ai capricci di Berlusconi e ad inventarsi l’azzeramento dell’Imu sulla prima casa? Per quasi un anno il dibattito pubblico di questo ridicolo paese fu bloccato da questo tema. La palmare evidenza dell’impossibilità di rendere permanente lo sgravio totale sulla prima casa venne occultata dalla fantasiosa ricerca delle coperture finanziarie, mentre da Forza Italia giungevano quotidiane “analisi” sui miracoli che la cancellazione di un tributo di importo medio inferiore ai 250 euro annui avrebbe esercitato sulla congiuntura. Incluso l’aumento di natalità, signora mia.

Tutto il resto, la ragione e la razionalità in primis, finirono sotto l’autobus di quella follia collettiva, incluse le sperequazioni derivanti dalla cancellazione regressiva del tributo e quelle indotte dalle follie dei catasti locali. Neppure si riuscì a cancellare l’Imu prima casa, peraltro, e vi fu una mini-rata di maxi-vergogna a gennaio 2014. Poi arrivò la Tasi, la regina delle “semplificazioni”. Ad imperitura memoria del fatto che semplificare non è sinonimo di detassare, ecco un passaggio del pezzo di Marro che ognuno di voi dovrebbe appendersi sopra il letto:

«Ci avevano detto che la Tasi, la tassa che il governo Letta, sostenuto dal Pd e dall’allora Pdl, si inventò per dire che non si sarebbe più pagata l’Imu sulla prima casa, avrebbe ridotto il prelievo sugli immobili. Ma anche qui i fatti hanno smentito le promesse. II carico fiscale sulla prima casa si è alleggerito di appena 500 milioni che però, paradossalmente, sono stati pagati in meno da proprietari di case con rendite catastali alte mentre quelli con abitazioni di minor pregio hanno mediamente pagato di più di prima, perché sono state tolte le detrazioni fisse. Sulle seconde case l’imposta è aumentata molto. E complessivamente la Tasi nel 2014 è costata ai cittadini 25,2 miliardi, il 15% in più dell’Imu 2013 (quando non si pagò sulla prima casa) il 7% in più del 2012 (quando l’imposta colpiva anche l’abitazione principale) e il 157% in più dell’Ici 2011 (che fruttò 9,8 miliardi)»

Potremmo dirvi che questa invereconda vicenda della “cancellazione” dell’Imu è parente stretta dei miracolosi effetti del bonus da 80 euro (a proposito dell’altro tormentone, “meno tasse o più spesa pubblica?”, vi rimandiamo a quanto scritto dal professor Dario Stevanato), ma sarebbe tempo perso. L’Italia resta una Repubblica democratica fondata sulla fallacia, logica prima che economica. Ma ci premeva segnalarvi questo bel dato “lordo” di aumento di tassazione nel 2014, a fronte della reiterata pubblicità di dati altrettanto “lordi” di sua diminuzione. Alla fine la realtà trionfa sempre, anche in un paese ridicolo come l’Italia.

 

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