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Unidos Podemos, le masse e il "discurso"

È tempo di serie riflessioni in seno al partito Unidos Podemos, a seguito del risultato delle elezioni del 26 giugno che hanno visto l’unione elettorale di Izquierda Unida (Sinistra Unita) e Podemos perdere più di un milione di voti, lasciando invariato il numero di seggi conquistati (71), stabilizzandosi come terza forza politica del paese dopo il Partito Popolare (PP) e il Partito Socialista Operaio Spagnolo (PSOE).

Le aspettative – e i famigerati sondaggi – che preannunciavano il 'sorpasso' nei confronti dei socialisti, si sono rivelate esagerate: alle piazze piene in occasione dei comizi non è corrisposta la partecipazione elettorale sperata, l’astensione è aumentata di quasi sette punti percentuali.

Le ipotesi sulla derrota di Unidos Podemos sono molteplici, forse troppe: se ne cerca la causa nella Brexit, nella campagna dei grandi mezzi di comunicazione, nelle diatribe tra i leader del partito, nell’alleanza con Izquierda Unida, negli ostacoli posti al voto dall’estero, nella difficoltà di raggiungere i pueblos della Spagna profonda, nel continuo corteggiamento del PSOE per poter formare un governo di coalizione, nella campagna elettorale caratterizzata da toni troppo pop e dagli scarsi contenuti politici. Stiamo assistendo in questi giorni ad un moltiplicarsi delle analisi e dei dibattiti sui possibili errori di campagna elettorale, nonché sui motivi che hanno portato all’evaporazione di un milione di voti. I quadri del partito si affannano a snocciolare dati, ipotesi, a condire di ‘se’ e di ‘ma’ un discorso su se stessi che si trascina, per forza di inerzia, dall’inizio della campagna elettorale.

Il discurso, appunto, sembra essere stato questo il protagonista della campagna di Unidos Podemos (UP). Una parola usata all’inverosimile, protagonista onnipresente delle interviste televisive e dei comizi, ma anche delle tavole rotonde tra politologi e professori che guidano UP (si veda il programma televisivo Fort Apache), nelle quali, curiosamente, il discorso parlava di se stesso, diventando un metadiscurso. Si potrebbe ipotizzare che, quando la strategia di un partito definito ‘antisistema’ che aspira a governare con delle premesse radicali consiste nel discutere su quale discorso sia più opportuno presentare alle masse in questa o quella tornata elettorale, sia difficile evitare che la frustrazione e la sfiducia tornino ad impossessarsi di ampi settori della sinistra anticapitalista e dei movimenti popolari, per non parlare delle già citate masse, sempre più passive consumatrici della spettacolarizzazione mediatica della politica.

Il coordinatore federale di Izquierda Unida, Alberto Garzón, in una lettera di ringraziamento (e di incoraggiamento) ai militanti ha affermato polemicamente che “l’egemonia non è un concetto che si riferisce alla capacità di vendere un prodotto nel mercato elettorale ma, più correttamente, alla capacità di estendere una concezione del mondo alternativa, culturale e sociale e perciò ancorata alla vita quotidiana delle classi popolari. Questo lavoro può essere raggiunto solo con l’organizzazione e l’ideologia, cioè con impegno collettivo e con un progetto politico”. Sulla stessa linea critica si colloca il cofondatore di Podemos – dimissionario da più di un anno dalla dirigenza del partito – Juan Carlos Monedero, secondo cui a UP “gli è mancata una maggiore presenza sul campo (en la calle) e ha ecceduto col marketing”.

Questa tendenza a modellare l’immagine di UP dimodoché ne risulti un partito-contenitore che sappia unire votanti di varia provenienza politica è dovuta in parte alla gestione della campagna da parte di Íñigo Errejón. Il politologo trentatreenne – fervente sostenitore delle teorie di Ernesto Laclau e Chantal Mouffe sul populismo come motore di trasformazione sociale e studioso dei populismi latinoamericani – ha voluto infatti sdoganare concetti (‘occupare significanti’, in termini laclauiani) come patria, e simboli come la rojigualda, la bandiera della monarchia spagnola, con tutto il suo peso simbolico del passato franchista, nell’intento di allargare il più possibile la propria base elettorale. Come se non bastasse, per cercare di neutralizzare il terrorismo mediatico, si è puntato sull’ossessiva ricerca della partecipazione televisiva e sulla positività, sul sorriso, a scapito della visibilizzazione delle lotte politiche dei movimenti di base e della situazione di grave miseria in cui versano le classi popolari dello stato spagnolo.

“Podemos deve certamente mantenere il legame con un movimento popolare, tutto ciò è teoricamente stupendo” ha affermato lunedì il leader di UP, Pablo Iglesias, in una conferenza presso l’Università Complutense di Madrid “ma dobbiamo tenere presente che Podemos non nasce dalle mobilitazioni, ma dal loro riflusso”. Inoltre, ricordando che i migliori rappresentanti dei movimenti, una volta entrati nei ranghi di UP, ora siedono nelle istituzioni, non si è detto sicuro della futura crescita di tali movimenti e ha sottolineato come “le cose si cambiano dalle istituzioni”. Lo stesso Iglesias ha ammesso di essere “spaventato” dalla possibilità che UP si converta in un partito “normale” e che l'attività parlamentaria lo conduca a una forma di cretinismo politico.

Secondo Manuel Monereo, storico dirigente di Izquierda Unida e candidato di UP per Cordoba, la grande vincitrice di queste elezioni è la troika europea e, pertanto, non tarderà a mettersi in marcia un’ulteriore stagione di tagli alla spesa pubblica, una nuova riforma del lavoro e del sistema pensionistico. Monereo sottolinea che da questo momento UP non è più espressione del conflitto sociale: svanita la speranza elettorale, si inaugurerebbe dunque una nuova stagione di lotte.

Intanto, l’Instituto Nacional de Estadística rende noto che nel 2015 sono emigrati 100.000 cittadini spagnoli, un 23% in più rispetto al 2014, cifra più alta dall’inizio della crisi. 

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