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Al via i Corpi Civili di Pace, l’Italia verso un nuovo sistema di difesa nonviolenta?

Pubblicato il decreto attuativo per l’organizzazione dei caschi bianchi, 500 giovani saranno impiegati in interventi di pace e cooperazione internazionale.

 
 
 

Quando si parla di difesa si è portati a pensare all’esercito, alle ricognizioni aeree, alle operazioni di intelligence, alle basi militari, e, perché no, al dibattito sugli F35 (a proposito dei quali la speranza di vederne perlomeno ridotto il numero si è rivelata vana). Sembrerebbe irrealistica agli occhi del senso comune la possibilità di una difesa nazionale civile, nonviolenta e disarmata, nonostante l’articolo 52 della nostra Costituzione affidi il “sacro dovere di difesa della Patria” ad ogni cittadino, il che aprirebbe non poche possibilità di sviluppo di modelli alternativi di difesa.

Tuttavia vi è una parte sempre più cosciente della società civile italiana che discute attivamente di questo nuovo tipo di difesa, e che tramite la campagna Un’altra difesa è possibile ha raccolto negli ultimi sei mesi 50.000 firme per una proposta di legge popolare per la difesa civile nonviolenta, che sono state consegnate alla Camera dei Deputati.

Ma qualcosa si è mosso, dopo più di un anno di silenzio, anche nel governo.

Da oggi infatti si profila uno scenario nuovo a seguito del decreto attuativo del governo che, basandosi su un emendamento del deputato Giulio Marcon alla legge di stabilità 2014 (già approvato nella legge di stabilità del 2013), istituisce i Corpi Civili di Pace (detti anche caschi bianchi) in via sperimentale.

Le sperimentazioni di interventi di pace all’estero non sono nulla di nuovo in un contesto, quello italiano, in cui le organizzazioni legate al Servizio Civile Nazionale hanno sulle spalle anni di esperienza riguardo all’impiego di giovani volontari in luoghi di conflitto, di tensione o di crisi economica, sociale ed ambientale. Tutto ebbe inizio nel 2001, quando venne istituito il Servizio Civile Nazionale – evoluzione del precedente servizio civile previsto per gli obiettori di coscienza – aperto a tutti i giovani che volessero intraprendere un anno di questa esperienza, da allora è stato possibile svolgere attività di volontariato anche all’estero (America Latina, Medio Oriente, Africa, Balcani) con organizzazioni come FOCSIV, Caritas e Papa Giovanni XXIII.

Si è tentato più volte, a livello italiano ed europeo, di istituzionalizzare queste esperienze di costruzione della pace, che hanno potuto sviluppare tecniche di intervento nonviolento efficaci e innovative. "Si tratta di un peacebuilding civile volto alla soluzione di conflitti da parte di volontari che intervengono tra le vittime e con le vittime, mediante il quale si cerca un approccio diverso dal peacekeeping militare, che ha comportato molte difficoltà e fallimenti negli anni passati.

Con questa legge si sperimenta l’utilizzo per tre anni di un contingente di 500 giovani in missioni di pace non governative in aree di conflitto, a rischio di conflitto, o in aree di emergenza ambientale. I progetti saranno frutto della collaborazione tra il Ministero degli Affari Esteri e il Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale. La formazione dei giovani volontari sarà obbligatoria ed affidata all’organizzazione proponente il progetto, in partenariato con altri organismi o associazioni. La selezione dei candidati è lasciata in mano agli enti e alle organizzazioni, come accade nel caso del Servizio Civile Nazionale.

Ma cosa faranno esattamente questi giovani? Nel decreto si parla di sostegno delle capacità operative e tecniche della società civile locale, attivazione di reti per la risoluzione di conflitti, monitoraggio del rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario, attività umanitarie, educazione alla pace, sostegno alla popolazione civile che fronteggia emergenze ambientali. Si tratta quindi di un insieme di attività di prevenzione dei conflitti e di peacebuilding che le organizzazioni legate al servizio civile hanno potuto sperimentare negli ultimi anni.

Una delle possibili critiche a questo esperimento è che i giovani caschi bianchi saranno impiegati in zone ad alta pericolosità e che pertanto il loro essere disarmati non gli potrà garantire alcuna sicurezza. Questo è vero solo in parte, perché seppure si farà uso delle efficaci metodologie nonviolente sviluppate dalle ONG, è anche vero che sarà da vedere con quale grado di separazione dagli interessi di governo si concretizzerà l’espressione “missioni non governative”. L’esperienza ha dimostrato che l’indipendenza dei Corpi Civili di Pace da qualsiasi interesse militare, economico o politico, è una delle garanzie della loro sicurezza, trattandosi in tal caso di una manifestazioni più nitide di diplomazia popolare nonviolenta. Comunque, stando al decreto, l’impiego è subordinato alla presenza di adeguate condizioni di sicurezza, verificate dal Ministero degli Affari Esteri, il quale può predisporre in qualsiasi momento il rimpatrio dei volontari.

Non si lascia molto spazio alla sperimentazione di attività di prevenzione della guerra o di difesa nonviolenta propriamente detta, ma con ciò non è da sminuire l’importanza dello spiegamento di un contingente con i compiti previsti dal decreto, che ha già ricevuto l’approvazione da organizzazioni quali la Conferenza Nazionale Enti di Servizio Civile, il Tavolo Interventi Civili di Pace e la Rete Italiana Disarmo. Si tratta quindi di una prima e parziale attuazione di ciò che la campagna Un’altra difesa è possibile sta chiedendo, cioè la creazione di un sistema di difesa alternativo basato sui corpi civili di pace e articolato sotto un dipartimento chiamato “Dipartimento della difesa civile, non armata e nonviolenta” e istituito presso la Presidenza del Consiglio.

È difficile dire se il governo sia veramente intenzionato a proseguire su questa strada – e quindi verso la creazione del suddetto Dipartimento – e se la proposta di legge depositata alla Camera avrà un suo seguito. Probabilmente molto dipenderà dall’esito di questa sperimentazione. Quel che è certo è che il valore simbolico di questo primo passo costituisce un piccolo successo per le organizzazioni pacifiste e nonviolente.

Chissà se un giorno alla parata del 2 giugno potremmo assistere, oltre al passaggio dei giovani del servizio civile, anche a quello di un contingente di caschi bianchi. Disarmati, civili e nonviolenti.

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