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 Home page > Tribuna Libera > Una scelta tra lo spirito del CNL e Wanna Marchi

Una scelta tra lo spirito del CNL e Wanna Marchi

Parlare di destra e sinistra, nel nostro paese è prematuro. Non siamo ancora, o non siamo più, ad un grado di civiltà tale da poterlo fare; dobbiamo ancora firmare un contratto sociale.

Quello che ci unisce ora è solo uno scellerato patto di convenienza. Capirlo è il primo passo per ricostruire un paese che è stato distrutto, prima che da questo o quel governante, dal minuto egoismo, ottuso ed apolitico, di milioni di italiani il cui unico movente è farsi gli affari propri. Di destra o sinistra, ma sempre cittadini ideali di uno stato minimo, hobbesiano, capace di reprimere i crimini violenti e che per il resto faccia poco o nulla; che non obblighi a pagare le tasse, soprattutto, e che non costringa i suoi dipendenti a fare qualcosa di produttivo prima di pagargli lo stipendio.

Un moderno stato si fonda su una relazione di scambio tra il settore privato e quello pubblico: il primo genera ricchezza e, pagando le tasse, alimenta il secondo che fornisce quei servizi che gli permettono di poter fare il proprio lavoro, oltre a garantire un certo livello di benessere ai cittadini. Decidere quanto debbano essere alte quelle tasse e quali e di che qualità i corrispondenti servizi, è il compito fondamentale della politica; il tema su cui emergono le differenze tra destra e sinistra. 

In Italia, patria della commedia dell’arte, tutto si è basato, invece, per decenni, sulla finzione: il settore privato simulava di pagare le tasse e quello pubblico di fornire i servizi. Tener ben serrati gli occhi era l’esercizio nazionale: Antonio non chiedeva a Giovanni come facesse, dichiarando un reddito da fame, a guidare quel macchinone; Giovanni non chiedeva ad Antonio cosa diavolo andasse a fare, quando e se ci andava, nell’ufficio dell’ente pubblico che gli pagava lo stipendio.

Tutto finto, quindi tutto bene? No; perché lo stipendio di Giovanni, o la pensione di Rosa che aveva lavorato si e no per un decennio, o quella di Gigi, cieco e maestro di tennis a tempo perso, erano e sono pagati davvero. Il debito pubblico nasce così, non altrimenti. E il debito, e la necessità di trovare i soldi per pagarne gli interessi, sta facendo crollare tutto. È l’elemento di realtà che trasforma in tragedia la nostra commedia. L’evasione è tuttora elevatissima, ma, nonostante questa, lo stato drena ormai il 50% della ricchezza prodotta nel paese. Una percentuale scandinava, a cui però continuano a corrispondere servizi da terzo o, nel caso della giustizia civile, da quarto mondo. È questa contraddizione che sta alla radice del deficit di competitività nel nostro paese; è questo che ci sta facendo affondare. Capirlo richiede solo un minimo di onestà intellettuale. Quella che manca completamente tanto nella “destra” che fu di governo quanto in ampie parti della “sinistra”. La prima è arrivata a teorizzare una specie di diritto all’evasione fiscale; la seconda non accetta neppure che si affronti il tema della plateale inefficienza della PA: ammesso che questa esista, è sempre e solo causata dalla mancanza di risorse. E questo, meglio ripeterlo, in un paese dove il 50% del Pil va allo stato che, per di più, lo spende quasi tutto in stipendi e pensioni.

Queste “destra” e “sinistra”, non a caso accomunate da un viscerale antimontismo, andrebbero emarginate, e in fretta, nei due angoli del parlamento. Tutte le forze capaci di sfuggire gli opposti populismi dovrebbero trovare il modo di lavorare assieme, per almeno lo spazio di una legislatura, alla rifondazione di un sistema che non sarebbe ormai sostenibile neppure se, con un tocco di bacchetta magica, il nostro debito pubblico scomparisse. Una legislatura costituente, certo, per risolvere i problemi di governabilità lasciati aperti dai Padri e sistemare gli immondi pasticci combinati dalla seconda Repubblica. Una legislatura ri-costituente, soprattutto, del rapporto tra Stato e cittadini, tra pubblico e privato, tra pubblica amministrazione ed imprese.

Un grande inciucio? No, un recupero dello spirito del CLN. La capacità di comprendere che prima viene la salvezza del Paese e solo poi il diritto di divederci in destra e sinistra, questa volta senza virgolette. Un diritto da riconquistare, dopo aver soddisfatto gli obblighi primordiali di pagare tutti le tasse (compresa una patrimoniale che serva a finanziare la ricostruzione e ridurre il debito; non certo ad alimentare la spesa corrente) e di guadagnarci tutti lo stipendio (anche andando a fare un lavoro diverso da quello per cui siamo stati assunti; mettendo in conto, qualunque sia il nostro datore di lavoro, che se non facciamo il nostro dovere potremmo essere licenziati).

Questa, per quanto lunga e difficile, è l’unica via d’uscita dalla nostra trentennale crisi. Chi dice diversamente, chi propone soluzioni miracolose, abbia la barbetta o la bandana in testa, ululi da un palco o sia suadente da uno studio televisivo, cerca solo d’imitare Wanna Marchi. Inutile commentare le sue dichiarazioni; basta invitarlo ad andare a tener compagnia a quella cara signora.

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