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Una libera e onesta opinione: il dovere, quasi sempre disatteso, del giornalista

Perché una democrazia possa funzionare, i giornalisti devono essere tanto onesti quanto i politici; quando i politici sono corrotti, viceversa, in una democrazia possono rimanere al loro posto solo se corrotti sono anche i giornalisti.

La funzione dei giornalisti è quindi assolutamente fondamentale; così importante da farmi ritenere i giornalisti almeno tanto responsabili del degrado italiano quanto i politicanti.

E' per questa ragione che ho, nei confronti della categoria, salvo rari casi, la più totale e completa disistima. Sono, se volete, assolutamente prevenuto nei confronti dei giornalisti, italiani in particolare, ma gli spettacoli indecorosi, offerti da molti dei più famosi tra questi professionisti, durante tutta la mia vita adulta, giustificano ampiamente il mio atteggiamento.

La situazione attuale, con i suoi Minzolini e i suoi Belpietro, non e affatto nuova, ma è la naturale prosecuzione, l'esasperazione, di un atteggiamento di piaggeria verso il potere che esisteva già, in termini assai simili, ai tempi del pentapartito; l'intervista inginocchiata al potente di turno, poi, credo sia una specialità italica dai tempi di Gutemberg o giù di lì.

Difficile individuare le cause del fenomeno. Certo, in un paese di non lettori, molti giornali non avrebbero ragione d’esistere se si badasse solo alle copie vendute; sono mantenuti in piedi artificialmente proprio dalla politica, che ne decide la linea editoriale e i contenuti, o sono un’attività collaterale, economicamente secondaria, di gruppi imprenditoriali che usano i titoli in prima pagina come merce di scambio nei propri intrallazzi con il potere politico.

E’ uno stato di cose che dobbiamo riuscire a cambiare se vogliamo, Berlusconi o meno, che la nostra democrazia, finalmente, raggiunga la maturità; dobbiamo riuscire ad avere, perché il dibattito politico torni ad avere un senso compiuto e il voto dei cittadini sia quanto più possibile libero, giornali e giornalisti onesti.

Qualcuno afferma che il buon giornalista deve riportare solo i fatti e tenere per sé la propria opinione: è un’idiozia bella e buona.

A parte le ovvie considerazioni sull’impossibilità di riferire in modo obiettivo una notizia quando e a parte le infinite sfumature del linguaggio, vale la pena ricordare che la stessa scelta di riportare o no una notizia è già, a modo suo, un’opinione. Assai raramente, infatti, le notizie ci sono fornite direttamente dai giornalisti di cui leggiamo la firma; di solito sono generate dagli sconosciuti dipendenti delle agenzie d’informazione, quando non arrivano, già preconfezionate, sotto forma di comunicati stampa di questa o quell’organizzazione, politica o meno.

L’unica cosa che possiamo chiedere, ai nostri giornalisti, per quanto riguarda le notizie, è di non inventarle di sana pianta e, in ogni caso, di riferire le loro fonti se non hanno assistito direttamente ai fatti.

Ho smesso, personalmente, di prendere per buone le notizie dei giornali dopo Timisoara. In quella città della Romania, come ampiamente riportato dai giornali di tutto il mondo, nel 1989 il regime di Ciausescu aveva compiuto un vero e proprio massacro. “Quattromilacinquecento morti” titolava uno dei nostri quotidiani; “Cadaveri orribilmente mutilati”, aggiungeva un altro, forse per soddisfare un certo gusto del macabro dei propri lettori. Una delle firme del Corriere affermava: “ Abbiamo assistito alla Battaglia di Timisoara; il maggiore scontro urbano del dopoguerra”. Si scoprì poco dopo che erano quasi tutte bugie; vi erano stati degli scontri a Timisoara, tra manifestanti e Securitate (la polizia del regime di Ciausescu), e purtroppo anche dei morti, ma nulla a che vedere con l’immane strage raccontata, con ricchezza di dettagli, dai giornalisti. Le foto con i cadaveri dei dimostranti in primo piano, poi, erano dei falsi belli e buoni fabbricati ricorrendo a corpi prelevati dalle celle mortuarie degli ospedali della zona.

Ecco: perché io consideri un giornalista onesto, per quanto riguarda i “fatti”, mi basta che non scenda tanto in basso quanto i suoi colleghi di allora; sarebbe bastato, agli italiani, premettere un “secondo quanto afferma l’agenzia X” ai loro articoli per salvare la propria dignità professionale.

Il vero lavoro di chi scrive sui giornali, oggi, e in particolare delle grandi firme, è proprio quello di fornire opinioni, commenti ed analisi, ed è in questo che tanti giornalisti dimostrano la propria assoluta disonestà; è in questo che tradiscono il pubblico e la professione.

Nessuno pretende che un giornalista di un opinione calibrata, misurata, corretta; quello che si deve esigere è che dia, sempre, la sua opinione; che di un fatto ci dica quel che pensa davvero, senza chiedersi se giovi a questa o quella parte e se farà contento o no questo o quel potente.

Basta leggere un qualunque giornale italiano per capire che sono rarissimi i giornalisti che si comportano così; di quasi tutti loro, su qualunque avvenimento, sappiamo già quel che penseranno ancor prima di leggere i loro articoli; fedeli alla linea (editoriale, s’intende) riproporranno, con un minimo di creatività, le opinioni dei loro padrini politici.

Un giornalista onesto, invece, dovrebbe essere un amico dei propri lettori; un amico vero e di quelli intelligenti: di quelli che, quando accade un fatto eclatante, andiamo a cercare per sentire quel che pensano, non perché lo diamo per scontato, ma perché, ascoltandolo, pensiamo di avere una visione più chiara, diversa dalla nostra per angolazione e ricchezza di dettagli, di quanto è accaduto.

Quasi nessuno dei giornalisti italiani d’oggi merita una tale distinzione; tanti, anzi, sono delle vere prostitute intellettuali: il loro lavoro pare consista, arrampicandosi sugli specchi, violentando l’intelligenza propria e dei propri lettori, nel difendere l’indifendibile. Nel cercare motivazioni alte e nobili per i comportamenti più abietti o nel difendere, contro ogni ragionevolezza, chi delle proprie debolezze fa pubblico spettacolo.

E’ uno spettacolo indecoroso, quello offerto da tanti giornalisti, che però è anche del tutto inevitabile quando tanta parte del sistema informativo è controllato direttamente da chi ha il potere politico ed economico.

La Rete, assolutamente anarchica, è il fatto nuovo e, fino a che sarà libera da controlli, qualunque cosa vogliano dire a proposito i giornalisti dei media tradizionali, offre l’unica possibilità di salvezza alla democrazia.

E’ facilissimo fare circolare false informazioni, in rete, dicono i vecchi giornalisti; verissimo replica che ha dimestichezza con internet, ma le notizie false circolavano anche ieri e oggi, proprio grazie alla rete è facilissimo smascherarle.

La Rete, soprattutto, rende difficile nascondere le notizie, e, più ancora, permette anche a chi non ha padrini o padroni di far sentire la propria voce.

Tutti possiamo esprimere la nostra opinione su un blog; nessuno garantisce che qualcuno la leggerà, questo è vero, ma se quel che scriviamo ha dei meriti, se le nostre riflessioni sono originali, prima o poi, qualcuno si accorgerà di noi. In Rete, questo è il bello, ed è quello che è così difficile da accettare per tanti giornalisti tradizionali, siamo tutti uguali; quel che diciamo può subito essere contraddetto e, nel frastuono, poco importa quali siano la nostra storia e le nostre credenziali: conta solo quel che diciamo e come lo diciamo. , nel frastuono, poco importa quale sia la nostra storia e le nostre credenziNon riusciremo, da soli, ad influenzare i destini del mondo, ma, tutti assieme, scambiandoci informazioni ed idee, abbiamo qualche possibilità di resistere all’omologazione impostaci dal nostro eterno essere pubblico; dal nostro eterno essere spettatori.

 In rete abbiamo la possibilità di tornare ad essere, a pieno diritto, dei cittadini.

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