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Un’inflazione al mare, stile balneare

Sui giornali si leggono horror stories sui prezzi da spiaggia e dintorni. Ma la colpa è anche dei consumatori. Nel frattempo, il governo vede sfumare il paniere contro il carovita e non batte ciglio sulla "scala mobile" di TIM

 

Tra i motivi di chiacchiericcio, in questa estate italiana più insopportabile del solito, ora gli esperti di clickbaiting dei giornali (anzi, scusate, di SEO) hanno trovato modo di ficcare l’inflazione turistica, in particolare quella balneare. Praticamente a siti unificati, i quotidiani italiani sono partiti con le famose “evidenze aneddotiche” (espressione vagamente esoterica che sostituisce, nell’uso dei colti, la più ruspante “mi ha detto mio cugggino“) riguardanti gli aumenti di prezzo sulle patrie spiagge.

Storie spesso raccapriccianti, soprattutto quelle che provengono dalla Puglia, dove si segnalano veri e propri strappi di prezzi. Ma c’è solo l’imbarazzo della scelta: prendete una località, googlate il suo nome assieme a termini del tipo “caro spiagge”, e vi si aprirà un mondo. Naturalmente, non abbiamo riscontri misurati con metodologie oggettive. I conti si faranno a fine stagione, in termini di presenze.

OMBRELLONI E SDRAIO DI PRIMA NECESSITÀ

Ma queste tecniche per stimolare sdegno e lamentazioni sono un grande classico, e le prendiamo per quello che sono: una specie di divertissement stagionale. Anzi, rilanciamo con la stessa tecnica. Immaginiamo quindi che gli aumenti medi siano effettivamente a doppia cifra e ben superiori al tasso d’inflazione media. A cosa potrebbero essere imputabili? A ingordigia da parte della punta di diamante della nostra imprenditoria o attacco di ansia per recuperare il prima possibile i poderosi esborsi per “investimenti” del tipo una mano di antiruggine o un trattamento anti-tarlo sui preziosi e datati legni delle strutture?

Se così fosse, dovremmo cercare di valutare l’elasticità della domanda al prezzo. Che tradotto, vuol dire: quanto è stato l’aumento complessivo dei ricavi, a fronte di eventuale riduzione di presenze in conseguenza degli aumenti? Se la variazione dei ricavi eccede la contrazione delle presenze, poco da dire: hanno ragione i nostri imprenditori del bagnasciuga e la loro industria della joie de vivre.

Ma non è solo quello: se le cose stessero in questi termini, avremmo su scala ridotta e settoriale quello che secondo molti sta accadendo all’economia in generale. L’accusa la conoscete, la famosa spirale prezzi-profitti di cui le imprese si starebbero rendendo colpevoli. Ma, alla base di ciò, resta un piccolo problema logico: fin quando la domanda regge, l’offerta estrae i suoi benefici. Se, a fronte di aumenti realmente proibitivi, la domanda sparisse, l’offerta dovrebbe tornare a più miti consigli. Funziona così, nel mondo reale.

Certo, possiamo convenire che, per un imprenditore balneare, gonfiare i margini in un periodo in cui si è sotto i riflettori per motivi non esattamente nobili è un po’ un danno d’immagine. Ma, quando si ha la fortuna di avere la “narrazione” e il governo pro tempore dalla propria parte, magari i danni si limitano. Il tutto fermo restando quanto detto sopra: se c’è la domanda, hanno ragione gli imprenditori di sabbia. Attenzione: ho scritto “gonfiare i margini”, non “preservarli”. Ma ripeto, servirebbero analisi metodologicamente rigorose e granulari, soprattutto sulla redditività di queste strutture. Un dato che, come noto, è il quarto segreto di Fatima. O di Riccione.

E, poiché non credo che stiamo parlando di consumi di prima necessità, la cui domanda è assai poco elastica al prezzo, possiamo rapidamente giungere all’immortale massima anglosassone che, tradotta, sentenzia: lo sciocco (consumatore) e i suoi soldi si separano presto. Più interessante è cosa potrebbe accadere a fronte di perdita di quote di mercato turistico per opera di altri paesi, magari a Est della Penisola. Potrei fare il profeta dell’ovvio immaginando una grande “campagna di sensibilizzazione” per vacanze patriottiche. Magari rafforzata da qualche bonus ombrellone o qualche “provvidenza” per gli stabilimenti balneari. Oppure grida di dolore sulla “intempestività” di mettere a gara le concessioni, “proprio in questo momento di difficoltà del settore”. Fino alla denuncia delle perfide multinazionali turistiche croate, montenegrine, albanesi e greche. E yawn.

TRA PANIERI E SCALE MOBILI

Più problematica pare invece essere l’iniziativa del governo e del ministro delle Imprese e del Made in Italy (per gli amici, MIMIT), Adolfo Urso, che ha deciso di passare alla storia patria come colui che spezzerà le reni all’inflazione mediante creazione, nell’ultimo trimestre dell’anno, di un paniere di consumi di base, a disposizione presso i dettaglianti che vorranno esporre sgargianti e patriottiche vetrofanie con tricolore d’ordinanza.

Se non fosse che il negoziato tra le parti coinvolte segna il passo, per le non poche criticità. Occorre mettere d’accordo i margini di produttori, trasformatori e distributori, che già in tempi normali tirano la fune come dei forsennati. I trasformatori, per dire, si sono già chiamati fuori, quindi avremo l’abituale campagna autunnale della distribuzione, solo con aggiunta di pompa retorica patriottica da parte del governo. Personalmente, comprendo il fascino dei prezzi “controllati” da un pianificatore benevolente o dalla sua evoluzione moderna, il “concertatore”, ma la realtà si mette sempre di traverso. E, con le persistenti tensioni sulle materie prime, anche per motivi climatici, l’impresa appare piuttosto difficile.

Ma l’ottimismo è il profumo del governo, e il ministro Urso è notoriamente molto ottimista. Poi, per confermare che questo esecutivo non ama le cose artefatte ma solo quelle genuine, ora puntiamo al “livello naturale” di inflazione, qualunque cosa ciò significhi.

L’importante è mostrarsi attivi e fattivi e scollinare l’estate, tra una minaccia di spezzare le reni all’algoritmo di prezzo delle compagnie aeree e qualche timido belato rivolto ai tassisti. Anche qui, una bella mappatura e passa la paura. Nel frattempo, non abbiamo sentito tuoni dalle parti del MIMIT o di Chigi di fronte all’iniziativa di TIM, che ha deciso di prendersi una bella scala mobile per permettere ai giornali di scrivere estasiati che i suoi ricavi “tornano a crescere”. Ma è una scala mobile piuttosto bizzarra, diciamo così:

Il canone mensile di alcune offerte di rete fissa TIM sarà incrementato, con cadenza annuale, in misura percentuale pari all’indice di inflazione (IPCA) rilevato dall’Istat, non tenendo conto di eventuali valori negativi dello stesso, maggiorato di un coefficiente pari a 3,5 punti percentuali. L’incremento percentuale annuo del canone mensile dell’Offerta, dato dalla somma dell’IPCA e di detto coefficiente di maggiorazione, non potrà complessivamente superare il valore del 10%.

Quindi, vediamo: se l’inflazione dovesse essere zero, TIM punta a rialzare comunque il canone fisso del 3,5%. Se fosse al 2%, l’aumento sarebbe del 5,5%. Non male. Ma, ehi, non lamentatevi sempre: se l’inflazione fosse il 15%, la loro magnanimità li porterebbe a tendervi la mano, con un aumento “a tetto” di solo il 10%. Almeno, sino a nuova “rimodulazione”, come la definiscono. Dopo tutto, c’è da pagare fior di investimenti, e le telecom europee soffrono a causa della vampirizzazione da parte delle OTT, che viaggiano praticamente a sbafo sulla loro groppa.

Ora, non mi risulta che il ministro Urso abbia opinato su questa singolare scala mobile, ma forse sono distratto. Oppure, occorre arrivare ad ogni costo alla cessione della rete fissa di TIM e quindi questa iniziativa potrebbe aiutare (il governo a voltarsi dall’altra parte). Ma non ditelo in giro, è un piccolo grande segreto di questi tempi di Dio, Patria e Paniere.

  • Aggiornamento: e poi, all’improvviso, l’epifania. Alto di gamma, con canoni di concessione risibili. Del resto, se sono la punta di diamante della nostra imprenditoria, un motivo ci sarà.

 

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