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Un’Europa da vomito

Una sedicente Unione Europea, attivissima nello strangolare la Grecia (colpevole di aver rifiutato le medicine che l’avevano ridotta allo stremo per pagare debiti iniqui) o nell’occuparsi del “pericolo per la salute” rappresentato dal lardo di Colonnata, o dal pecorino di fossa (incriminati perché prodotti con un procedimento naturale sperimentato da secoli anziché con sofisticazioni chimiche industriali), dopo una lunga passività ha fatto uno sforzo di solidarietà umana e ha discusso gli impegni umanitari tra tutti i membri, colpiti dalle stragi nel Mediterraneo. Il risultato è stato che tra tutti gli Stati sarebbero disposti a ospitare complessivamente altri 5.000 (cinquemila!) rifugiati e scampati alle tante guerre eterodirette… Non mi viene da definire questa decisione (anche se per la vergogna venisse modificata al rialzo, magari moltiplicandola per 10) altrimenti che come vomitoria ipocrisia.

Ma questa ipocrisia in Italia raggiunge punte elevatissime. Dopo averci girato intorno a lungo, dicendo e subito dopo negando, Renzi ha trovato la formula giusta per raccogliere consensi nella subcultura razzista diffusa nel paese, su cui Salvini specula, senza esserne stato l’inventore: non possiamo accogliere tutti i richiedenti asilo, perché sui barconi “non ci sono solo famiglie con bambini”…

Viene utilizzato di nuovo lo spettro del terrorismo, magari con notizie su feroci decapitazioni, a volte anche rilanciando filmati di repertorio, o denunciando altri misfatti (c’è da scegliere); ma si dimentica che il terrorismo crescerà proprio se nulla sarà fatto per eliminarne le cause profonde, e anzi avrà a disposizione come bacino di reclutamento milioni di disperati scacciati di terra in terra. Si vuole far passare l’idea che in un modo o nell’altro bisogna lasciare una buona parte di coloro che sono arrivati in Libia al loro destino. Senza capire che, una volta deciso un numero (irrisorio, come i 5.000 o più alto, ma sempre fissando arbitrariamente un tetto che lascia fuori una parte di coloro che avrebbero diritto all’asilo), sarebbe mostruoso dire a quelli esclusi per ragioni esclusivamente numeriche, di quote: “arrangiatevi in Libia, o tornatevene al vostro inferno”.

Si direbbe che per evitare che l’opinione pubblica si renda conto che un atteggiamento così cinico che ignora che le crisi belliche o ambientali da cui fuggono a milioni sono state direttamente o indirettamente (tramite i nostri Stati scherani, come i regni del Golfo) provocate dai paesi imperialisti, compreso, non ultimo, il nostro, non solo si ingigantisce la percezione del fenomeno del terrorismo ma si sorvola su cosa lo può generare in forma ben più virulenta e capace di raggiungerci in casa. Intanto si rafforzano le tendenze xenofobe fingendo di dare una semiaccoglienza a quelli che arrivano, lasciandoli però abbandonati a sé stessi, in una semiclandestinità (ad esempio non fotografandoli per lasciarli liberi di tentare l’avventura di arrivare in paesi europei più accoglienti e con maggiori occasioni di lavoro, ma aprendo così anche la possibilità che intanto nell’attesa “si arrangino” e appaiano quindi pericolosi a chi ha l’ossessione della sicurezza minacciata dagli alieni). Come mai, se non per provocare una reazione, uno Stato sempre così invadente e repressivo come l’Italia “dimentica” di applicare le sue leggi e quelle imposte dall’UE, e non procede all’identificazione?

La maggior parte delle soluzioni alternative proposte, come quella apparsa su LIMES,http://www.limesonline.com/come-evitare-la-prossima-strage-di-migranti-nel-mediterraneo/76845 non sono convincenti perché accettano l’idea che “la distruzione dei mezzi di trasporto usati dai criminali, proprio come avviene con l’operazione antipirateria Atalanta al largo della Somalia, potrebbe essere un buon inizio”.

Se davvero i trafficanti (non i poveracci che per avere un passaggio hanno accettato di guidare un barcone destinato all’affondamento), guadagnano milioni da ogni viaggio, possono ben ricomprarsi ogni volta una carretta in qualche paese vicino. Si ridurrebbe di poco il guadagno, e al massimo aumenterebbe in proporzione anche il prezzo del passaggio…

Continuo a pensare che per avviare a soluzione il problemaBasterebbe usare i traghetti…

Ma su questo una grande responsabilità ce l’ha in primo luogo la chiesa cattolica, che spesso predica bene, ma non fa niente di quel che potrebbe fare concretamente. La Commissione Migrantes condanna giustamente l’ipocrisia dei governi europei, ma non quella del Vaticano, che pretende di essere maestro di morale al mondo intero, ma non fa quel che potrebbe fare essendo uno Stato sovrano: noleggiare dei traghetti, che nessuno oserebbe fermare, cominciando ad ospitare i nuovi arrivati dapprima nelle sue numerose proprietà alberghiere (costruite non dimentichiamolo con l’aiuto e le esenzioni fiscali dello Stato Italiano) e poi nelle sue immense proprietà fondiarie. Avevo proposto qualcosa di simile in passato, in occasione delle due visite papali a Cuba, irritato dall’entusiasmo suscitato dai vani appelli “platonici” contro l’embargo. Il Vaticano, dicevo, potrebbe facilmente noleggiare qualche nave e inviarla carica di generi indispensabili all’Avana: vediamo se gli USA, con tutta la loro prepotenza, avranno il coraggio e la sfrontatezza di fermarle. Invece, quell’annuncio “contro l’embargo” era solo un investimento pubblicitario a basso costo.

(a.m.23/4/15)

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Appendice

Nel quadro del “terrorismo mediatico” che vuol predisporre l’opinione pubblica all’idea - caldeggiata da svariati ministri - che tra i rifugiati o almeno tra gli scafisti si annidino pericolosi criminali e terroristi, era stata lanciata pochi giorni fa la notizia che un peschereccio italiano di Mazara del Vallo era stato agganciato da un rimorchiatore di Misurata, con a bordo “sedicenti finanzieri libici”, ma era riuscito miracolosamente a mettersi in salvo e a farsi scortare fino al porto di partenza da una nave militare italiana. Poi non se ne è parlato più.

Pensavo inizialmente che si trattasse di uno dei soliti casi di sconfinamento (avvenuti molte volte anche in Tunisia ed Egitto e in altri paesi) in acque territoriali altrui, in cerca di acque più pescose. Tra l’altro la zona è controversa, perché la Libia da sempre considera acque interne quelle del Golfo di Misurata, come l’Italia fa con quelle del Golfo di Taranto. Era così, infatti, ma il grave è che i “sedicenti” finanzieri lo erano veramente, che non avevano sparato ma dialogato con i pescatori italiani, i quali sapendo di essere in torto si erano giustificati dicendo di essere lì “per un pezzetto di pane”. Il tutto sotto gli occhi (e la cinepresa…) di una giornalista free lance italiana, Nancy Porsia, che ha testimoniato che nessun libico aveva sparato, nonostante uno di loro fosse stato trattenuto con la forza a bordo del peschereccio Airone, che aveva rifiutato di entrare nel porto di Misurata per gli accertamenti. Ieri avevo scovato sul Web il video che avevo aggiunto subito al mio articolo Da dove viene la nostra barbarie  , ma quando già un centinaio di visitatori lo avevano letto. Per questo lo riprendo qui, scusandomi per la ripetizione con chi lo ha già visto. Già ieri comunque avevo commentato che “perdiamo il pelo ma non il vizio: ecco come ci guadagniamo la fiducia dei libici”:http://www.ilpost.it/2015/04/19/peschereccio-airone-sky/ .

Ma poi ho pensato con orrore a che cosa sarebbe successo se i veri finanzieri libici avessero legittimamente usato le armi per riprendersi il loro commilitone rapito (o sequestrato o “catturato” dagli italiani). Invece, a differenza dei nostri marò nel Kerala, si sono comportati civilmente. Ecco perché si è fatto subito silenzio sul caso… Guai a far sospettare che non siamo noi europei a portare la civiltà tra i “barbari”… (a.m.)

 

Foto: No boder network/Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

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