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USA, scarcerato Black Panther da 40 anni in cella d’isolamento

Herman Wallace ha passato gli ultimi 41 dei suoi 71 anni in una cella d'isolamento di 3 metri per 2, ventitré ore al giorno, tutti i giorni. Novecentomila ore di solitudine senza poter leggere, studiare o lavorare. 
 
 
Nel 1971 Herman Wallace, Albert Woodfox e Robert Hillary King (conosciuti come gli Angola 3, dal nome della prigione dove sono detenuti) erano tre giovani membri delle Black Panthers, l'organizzazione rivoluzionaria che lottava per i diritti dei neri americani. Vennero condannati per rapina a mano armata e spediti al Penitenziario di Stato della Louisiana, anche detto "Angola prison".
 
Le Pantere Nere continuarono l'attività politica da dietro le sbarre, studiando, fornendo supporto legale (Wallace e Woodfox divennero "jailhouse lawyers", esperti di questioni giudiziarie per i loro compagni di cella), organizzando scioperi e assemblee carcerarie. Nel 1972, durante una rivolta, la guardia carceraria Brent Miller venne pugnalata a morte. Le accuse ricaddero sui tre, che vennero giudicati colpevoli e condannati ad una vita d'isolamento
 
Herman Wallace sta morendo. Ha quasi 72 anni, un tumore al fegato allo stadio terminale e gli restano poche settimane di vita, forse appena qualche giorno. Il giudice Brian Jackson ne ha ordinato la scarcerazione immediata, non per motivi di salute (che pure sarebbero stati sufficienti al rilascio), ma perché ha stabilito che la sentenza di condanna emessa 40 anni fa è incostituzionale: viola il XIV emendamento della Costituzione americana, quello che tutela l'eguale protezione di ogni cittadino americano. Il nostro "giusto processo", che a Wallace è sempre stato negato.
 
Andrew Cohen, giornalista del The Atlantic, ha studiato a fondo il caso Wallace ed è arrivato alla conclusione che non esiste neppure una prova che dimostri la sua colpevolezza nell'omicidio di Miller. Cohen racconta come l'indagine condotta sia stata del tutto "inadeguata" e perlopiù viziata da pregiudizi razziali. Ma il giornalista soprattutto denuncia l'enormità della pena inflitta: un unicum nel sistema giudiziario americano che il reporter, cronista di giudiziaria e attivitista contro la pena di morte, giudica "crudele quanto inusuale".
 
Amnesty International, che si occupa del caso degli Angola 3 da diversi anni, ha rilasciato un comunicato che giunge alle stesse conclusioni: "Non esiste nessuna prova che leghi i due al delitto; le tracce di DNA che avrebbero potuto scagionare Woodfox e Wallace sono andate perdute e le deposizioni dei testimoni oculari screditate".
 
L'ultimo appello con il quale si chiedeva la scarcerazione di Wallace risale a luglio scorso. Ora, finalmente, un giudice ha deciso di fare quello che è giusto, anche se con 40 anni di ritardo. Herman Wallace è un uomo libero, anche se la sua libertà equivale a morire fuori dalla cella nella quale ha passato tutta la sua vita. Non è molto. Non è molto per la "patria dei diritti civili", non è molto per la giustizia, non è molto per chi si è battuto per anni contro questa condanna assurda. Ma siamo sicuri significhi molto per Herman Wallace e la sua famiglia. 
 
Aggiornamento del 4/10/2013: Herman Wallace è morto stamattina all'alba. Aveva 71 anni.
 
 
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