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Transazioni finanziarie: tassarle è un problema di equità (e non solo)

“La volontà ribadita con forza da Francia, Germania, Italia e Spagna di procedere con una forma di tassazione sulle transazioni finanziarie sancisce, formalmente, lo strappo con la Gran Bretagna”

Così Leonardo Maisano, su Il Sole 24ore di sabato, chiariva quello che da tempo si sapeva. I grandi centri della speculazione finanziaria ruotano attorno alle attività che il mondo anglosassone ha scelto dopo aver sostanzialmente abbandonato la produzione di “cose”. Molto più pulito, asettico e “moderno” fare soldi con i soldi anziché fare soldi con cose materiali come i ‘vecchi’ capitalisti di una volta (o anche come quelli nuovi, cinesi o indiani o brasiliani che siano).

Più pulito e più facile, se si sta in campana e si spostano milioni di dollari o euro nel giro di millisecondi; magari con qualche rischio in più che però si fa ricadere immediatamente sulle spalle di qualcun altro, a meno di essere dei “fessi” patentati e lasciarci le penne. Ogni tanto capita, ma di solito a lasciarci le penne sono i piccoli risparmiatori, truffati dai maghi fasulli della finanza di quartiere o dai pescecani di quella internazionale.

Mi avevano affascinato tempo fa, e ne avevo scritto, i calcoli e le proposte di uno studioso inglese trapiantato in Francia, Simon Thorpe, il quale aveva semplicemente valutato che se tutte le transazioni finanziarie mondiali fossero state tassate all’uno per mille (per fare un esempio una transazione da un milione di euro avrebbe prodotto una tassa da mille euro; percentuali irrisorie, quindi) gli introiti complessivi derivanti da questa sola tassazione sarebbero stati uguali agli introiti complessivi derivanti da tutte le tasse esistenti (IVA compresa).

Ce ne sarebbe abbastanza da garantire un reddito minimo a chiunque con le ricadute sull’economia reale (oltre che sull’umore popolare) che si possono immaginare.

Si capisce bene qual è la portata gigantesca delle montagne di denaro che sono spostate ogni anno dalla finanza internazionale e dallo spaventoso tsunami che è in grado di provocare.

Regolare questo mondo privo di controlli è tassativo, ma anche estremamente difficile proprio per la volatilità e la rapidità di movimento che la raffinata tecnologia permette e per i rischi che un’azione regolamentatrice intempestiva e scoordinata potrebbe innescare.

Gli inglesi infatti, insieme con olandesi, irlandesi, svedesi, slovacchi e maltesi, sono fermamente contrari alla TTF, la tassa sulle transazioni finanziarie (anche se applicano la Stamp Duty Tax che è l'equivalente della nostra imposta di registro), “a meno che” non sia applicata in tutto il mondo e contemporaneamente. In caso contrario - dicono - i capitali potrebbero fuggire dai paesi tassati e rifugiarsi in quelli esenti, operando su mercati più convenienti. Il crollo della City sarebbe dietro l’angolo e questo per Londra è semplicemente improponibile.

A questo punto gli altri europei favorevoli all’iniziativa - l’inedita coalizione fra Italia, Francia, Germania e Spagna più altri paesi a guida o a forte rilievo socialista - che si stanno accordando proprio in questi giorni sull’introduzione di una TTF ancora tutta da valutare, si troveranno di fronte ad una situazione di conflitto con la perfida Albione (tanto per cambiare, sono secoli che il continente confligge in qualche modo con l’isolata Britannia).

Applicare la TTF significherà vedere gli investitori abbandonare le Borse europee, dicono alcuni, a favore della City (e di Wall Street) a meno che non vengano introdotte misure di contrasto che sicuramente non piaceranno a Londra.

Il problema economico è anche, o forse prima di tutto, un problema politico; e proprio di prima grandezza, pare. Tutto da seguire, con occhi bene aperti, nelle prossime settimane sperando che la TTF (o la Tobin Tax che è una tassa sui cambi, una proposta diversa dalla TTF, ma vabbé, siamo nei pressi) possa vedere la luce, se non altro perché chi ha prodotto gli enormi costi della crisi finanziaria che sta sconvolgendo la vita di tutti noi, cominci anche a ripagarne almeno una parte.

Una questione di equità, di etica, chiamatela come vi pare, comunque una questione che impone un diverso modo di concepire i rapporti tra economia, finanza e società.

Per saperne di più - ed anche per avere risposte alle principali obiezioni all'introduzione della TTF - consiglio un esaustivo articolo di qualche mese fa firmato da Leonardo Becchetti Ordinario di Economia Politica presso la Facoltà di Economia dell’Università di Roma "Tor Vergata", da cui vale la pena estrapolare una frase: "Per guadagnare quello che il CEO di Lehman Brothers ha guadagnato l’anno prima del fallimento della banca d’affari, professori di scuola impiegano 4500 anni".

Meglio ripetere: quattromilacinquecento anni di lavoro e stipendi per guadagnare quanto Richard Fuld, l'Amministratore Delegato della Lehman, cioè di quel genio della finanza che è riuscito a far fallire - con un debito di 613 miliardi di dollari (e 26000 dipendenti) - una banca fondata nel 1850. Tanto per dire.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.130) 25 giugno 2012 16:14

    Una tassa che pagheranno solo i cittadini con un conto online ma non certo i pesci grossi che operano da wall street o da Londra. Alla fine sono sempre i piccoli a rimetterci e a venire tartassati ma con una tassa cosi’ poco intelligente vista la fuga di capitali e il conseguente calo dei volumi di borsa con aumento della volatilità e la necessità di capitali molto piu’ bassi per pilotare ed eventualmente far crollare il mercato. In economia non si ragiona per dogmi ma in modo pragmatico e in questo caso non esiste nessuna prova che la tassa sulle transazioni sia positiva per l’economia ne’ per il gettito che in Svezia negli anni ’80 calo’, ne’ per limitare speculazione e volatilità che invece con un mercato piu’ illiquido è addirittura piu’ pericolosa.. I dogmi vanno lasciati alla religione non importati all’economia..

  • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.107) 25 giugno 2012 17:06
    Fabio Della Pergola

    Che in economia si ragioni pragmaticamente mi sembra contraddetto dal disastro epocale causato dalla "pragmatica" economia americana (due crisi apocalittiche in meno di un secolo. Da leggere sull’inserto Lettura del Corriere di domenica us la pagina sulle bolle speculative a partire dalla crisi dei "bulbi di tulipano" in poi). Pensare che la teoria economica sia pragmatica sembra proprio un’affermazione dogmatica di tipo religioso !

    L’idea che una transazione finanziaria non possa essere tassata inoltre sembra non essere una teoria accettata dai quattro paesi di cui sopra e dalla Commissione Europea che ha ’raccomandato’ l’introduzione della TTF.

    Per finire, entra nel merito di questa critica proprio l’articolo di Becchetti che ho segnalato.

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