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Traiettorie sociologiche: Che ci faccio qui? Memento di Christopher Nolan

di Gessica Gallo

Traiettorie sociologiche: Che ci faccio qui? Memento di Christopher Nolan

Dove sono? In una qualche stanza di motel… Questa la domanda che si pone Leonard Shelby, il protagonista, appena comincia Memento (USA, 2000) di Cristopher Nolan, il film interpretato magistralmente da un riscoperto Guy Pearce, sicuramente una delle pellicole più interessanti dell’ultimo decennio. Domande che Leonard si pone ogni mattina al suo risveglio.

Domande che rapidamente significheranno – anche per lo spettatore – Dove mi trovo? Come sono arrivato qui? Ma soprattutto Chi sono? Il film è tratto dal racconto Memento mori, di Jonathan Nolan, fratello del regista, pubblicato dopo l’uscita del film.
 
Nolan ne ha tratto una pellicola ambiziosa, eccentrica, anche faticosa da decifrare, un thriller che propone numerosi stimoli all’approfondimento in termini psicologici e sociologici.

Un disturbo della “memoria a breve” dovuto ad un trauma cranico subito durante l’aggressione nella quale morì la moglie, non permette a Leonard di ricordare nomi, persone, fatti ed eventi successivi alla tragedia e lo “proietta” in un mondo a cavallo fra il maniacale e il delirante.

Leonard vuole vendetta, è solo in questo sentimento che trova la forza e la motivazione per agire nonostante la sua “malattia”, nonostante non possa ricordare nulla di quello che gli accade anche solo qualche minuto prima.

Ma di chi fidarsi? Come orientarsi in un mondo che anche senza di lui continua ad andare avanti? E che per lui non ha mai nulla di solido? Come ritrovare ad ogni risveglio le informazioni e le conoscenze acquisite il giorno precedente? Come raggiungere il suo scopo e dare così un senso alla sua vita: placare il senso di colpa per non essere riuscito a salvare l’amatissima moglie, ma al contrario esserle sopravvissuto?

La risposta la trova nel metodo, nel meticoloso fotografare con una Polaroid istantanea persone e luoghi e nell’appuntare indizi, prima su carta e poi tatuati sul suo corpo perché… quando hai un’informazione e rischi di perderla è sempre meglio scriverla addosso che su un pezzo di carta.

Una trama avvincente, resa ancora più suggestiva dal montaggio non tradizionale: Nolan ha voluto rappresentare in maniera puntuale quella che dovrebbe essere la percezione di un individuo quando è condizionata dalla perdita di memoria, laddove la magistrale sceneggiatura infatti non segue la cronologia degli eventi ma procede in maniera alternata partendo dalla scena finale per poi passare alla prima, poi alla penultima, poi alla seconda e così di seguito.
 
La struttura del film segue due percorsi ed è composto da quattro linee narrative.
Il primo percorso è soggettivo ed è costruito ad ostacoli: lo spettatore si trova improvvisamente, come in un brusco risveglio, dentro scene inspiegabili, che interrompono la catena logica dei fatti, finché il progredire dell’azione non lo porta a riconoscere nell’ultima scena un qualcosa di già visto; è come se lo spettatore condividesse la malattia di Shelby.

Il secondo percorso è girato su pellicola monocromatica e mostra il protagonista impegnato continuamente a telefonare dalla sua stanza d’albergo. Qui il tempo scorre in avanti, lineare, come si capisce dall’accumularsi dei tatuaggi. In palese contrasto, ed a rendere ancora più avvincente il film, sono i filoni narrativi interni in bianco e nero, che invece seguono l’ordine cronologico degli eventi e che fingono di aiutare lo spettatore a trovare il senso delle cose, la veridicità dei fatti, la sincerità dei personaggi.

L’analisi dell’enigma tiene avvinti fino allo scioglimento conclusivo del racconto, ed è svolta attraverso la memoria frammentaria del protagonista che apparentemente fa girare tutto intorno alla ricerca dell’omicidio della moglie.

Un film a tratti cupo come lo sono tutti i personaggi, tra i quali ne spiccano due in particolare, Natalie e Teddy, il cui ruolo è in dubbio per tutta la durata del film: all’inizio apparentemente alleati di Leonard nella sua ricerca, per poi rivelarsi capaci manipolatori nelle cui mani il protagonista diventa solo una pedina utile ai due per raggiungere i propri scopi.

La lesione di cui soffre Leonard ha interessato solo la parte del cervello che controlla la memoria a breve termine, e pertanto il protagonista apparentemente ricorda tutto quello che gli era accaduto prima del trauma, mentre non è più in grado di assimilare e ricordare niente di ciò che è successivo all’incidente. Questo perché, se ci rivolgiamo ai modelli elaborati dalle neuroscienze, possiamo ritenere che lesioni del tipo descritto nel film provochino spesso deficit di memoria e disturbi di varia gravità: sono definite sindromi amnesiche, che producono difficoltà ad acquisire e ritenere nuove informazioni o a ricordare eventi recenti, mentre altre funzioni, come l’intelligenza, le funzioni percettive, la comprensione e la produzione del linguaggio, restano inalterate.
 
Resta intatta anche la “memoria di lavoro”, anche se dopo qualche tempo i pazienti amnesici non ricordano nulla di ciò che è stato appreso durante le prove. Normalmente la sindrome amnesica coinvolge i lobi temporali mediali, ippocampo e amigdala, o le aree della regione diencefalica, corpi mammillari e nucleo talamico dorsomediale.

A questo punto la domanda sorge spontanea: Come si può vivere avendo perso anche solo la memoria a breve, atteso che l’identità di un uomo è basata sulle sue esperienze, sul suo vissuto, sulla sua capacità di elaborare, sui ricordi remoti, su quelli passati e necessariamente su quelli presenti?

Prendendo appunto il caso di Shelby, il ricordare perfettamente chi è, o meglio chi era, ma non sapere assolutamente chi sia diventato rende “maggiormente” malato il nostro protagonista, ancora più ossessiva la sua indagine ed infine fallace il risultato.

Infatti la somma degli indizi rivela la falsità del metodo d’indagine, in quanto man mano che la storia va avanti si può capire che oltre a subire gli inganni degli altri personaggi, che approfittano della malattia di Shelby, è anche questi ad ingannare se stesso, nutrendo per necessità la sua nuova identità con informazioni forzate e strumentali per potere ipotecare un futuro motivato, come accade ad esempio nell’ultima scena del film dove annota delle informazioni false sotto la fotografia di Teddy, consapevole del fatto che dopo pochi minuti non ricorderà quel gesto e crederà fino in fondo a quello che leggerà.

Memento è dunque un film enigmatico, che coinvolge lo spettatore, il quale fin dall’inizio non conosce la verità ma proverà a scoprirla, senza successo, lungo un percorso articolato insieme al suo protagonista, sequenza dopo sequenza. Il disorientamento dello spettatore diventa simbiotico con lo smarrimento di Shelby, succube di una continua inconsapevolezza ed imprevedibilità di ciò che gli sta accadendo, a dimostrazione di quanto il cinema sia capace di farci entrare all’interno del film, laddove il punto di vista dello spettatore coincide con quello del protagonista.

Occorre soffermarsi su un caso interessante all’interno del film, quello di Sammy Jenkys, un uomo su cui Shelby, nella sua vita “precedente” agente assicurativo, ha indagato nel suo passato e di cui apparentemente ha perfetta e vivida memoria.
Questo Sammy, secondo i racconti del protagonista, aveva un disturbo della memoria, ma non si capiva se fingesse o se la sua malattia fosse reale.
Durante il film lo spettatore è indotto a vedere in Sammy un “doppio” di Leonard, e quindi inizia a sospettare che la sua storia possa essere invece la vera storia di Shelby.

Si profila così l’ipotesi che il protagonista stia fingendo, che la sua perdita di memoria sia fittizia, che si rifiuti di ricordare perché rifiuta la realtà, creandosi un mondo parallelo, una nuova identità per sfuggire al dolore,non riuscendo a ricordare di dimenticare.

A questo punto lo spettatore è portato quasi istintivamente ad immedesimarsi in Shelby, è innegabile che chiunque possa essere portato ad elaborare lo stesso processo mentale, insabbiando in una lacunosa memoria i momenti spiacevoli per evitare di dover fare i conti con un passato tanto doloroso.

Ma non si può essere completi negando un pezzo di sé, senza passato non esiste neanche il futuro, tutto perde senso e traiettoria.

Ma anche questa è solo una delle tante ipotesi che lo spettatore suppone durante il film che è un intreccio continuo, mentre sembra che il mistero sia svelato, che si sia capito il senso di tutto, subito accade qualcosa, cambia anche un minuscolo particolare che fa nascere nuovi dubbi.

L’unica certezza a cui possiamo arrivare grazie alla scena finale è che Shelby stesso decida di mentire a se stesso, di non ricordare dando fuoco alla foto del presunto assassino della moglie appena ucciso da lui stesso e appuntandosi false informazioni per garantirsi un nuovo movente, per scoprire il giorno dopo un nuovo carnefice che agli occhi dello spettatore, nonostante tutto, non apparirà mai comunque fino in fondo come una vittima.

Tutto ciò per tenere viva la sua voglia di vivere, per continuare ad avere un scopo senza il quale nulla avrebbe più senso, un senso che può inscriversi solo nella successione temporale che diamo alla nostra biografia in termini di passato, presente, futuro. Di narrazione del sé: del proprio passato; di “progetto del sé”: del proprio futuro.
 
Nolan C., Memento, USA, 2000.
Nolan J., Memento Mori, 2001.
 

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