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Topos del razzismo: dalla strage di Charleston alla scabbia dei migranti

Voi violentate le nostre donne” sembra che sia stata la motivazione delirante di un giovane americano, bianco e suprematista, che ha sparato (con la pistola regalata dall'amoroso padre) uccidendo nove persone, fra cui sei donne.

Il concetto espresso è un topos del razzismo bianco contro i “coloured” (altra espressione equivoca per definire gli afroamericani) che affonda le sue radici nella mentalità da Ku Klux Klan del profondo Sud dei vecchi stati confederati.

Ogni razzismo ha i suoi luoghi comuni che rivelano però significati ancestrali: così come i neri sarebbero stupratori di donne bianche, non è difficile vedere il riflesso banale della prassi, questa sì reale e molto più diffusa, che vedeva le giovani indigene diventare oggetto sessuale per i predatori del colonialismo bianco in Africa, Asia e nelle Americhe. Ivi compresa la "bella abissina" dei nostri padri o nonni.

Altri luoghi comuni sono la diffusa paranoia che rom e sinti (zingari è il termine più diffuso, ma dispregiativo: in realtà significa "intoccabile") siano abitué del rapimento di bambini piccoli per poi addestrarli a mendicare o a rubare.

Dalle statistiche non risulta che sia mai stata condannata una persona di etnia rom per il rapimento di un bambino non rom, nonostante i casi di cronaca - generalmente fomentati dalle urla isteriche di giovani madri - siano più di uno ogni anno.

Sabrina Tosi Cambini, autrice di una significativa ricerca titolata “La zingara rapitrice”, scrive: «Nella nostra analisi prendiamo in considerazione ventinove casi, oltre undici di sparizione di minori (dunque, 40 in tutto), sui quali è da subito opportuno indicare il risultato principale della ricerca, e cioè che non esiste nessun caso in cui sia avvenuta una sottrazione del bambino: nessun esito, infatti, corrisponde ad una sottrazione dell’infante effettivamente avvenuta, ma si è sempre di fronte ad un tentato rapimento, o meglio, ad un racconto di un tentato rapimento».

Così difficile immaginare che il problema stia più nella testa delle madri che nella volontà dei rom (che di figli - di loro produzione originale - ne hanno a sufficienza)?

È nota anche l’“accusa del sangue” rivolta agli ebrei per secoli, che ha avuto spesso conseguenze drammaticamente sanguinose. Si tratta dell’idea pervicace che gli ebrei rapissero i bambini cristiani per ucciderli e impastare con il loro sangue il pane in determinate occasioni liturgiche.

Accusa mai dimostrata, anche se anni fa lo storico israeliano di origini italiane, Ariel Toaff, fu al centro di una accesa diatriba avendo ipotizzato in un suo libro - "Pasque di sangue" - che qualcosa di vero doveva pur esserci se alcuni ebrei sottoposti a processo avevano confessato. La critica sosteneva che certe “confessioni”, ottenute con i metodi dell’Inquisizione, non davano certo garanzie di veridicità e la cosa finì con una revisione del libro.

L’ultimo caso noto è quello accaduto nel 1946 nella cittadina polacca di Kielce dove una minuscola comunità ebraica, tornata a casa dopo gli anni della persecuzione nazista (circa duecento sopravvissuti sui 25mila ebrei residenti prima della guerra), fu assalita da una folla inferocita, nell’indifferenza - o peggio - della polizia e benedetta dal vescovo locale, dopo che un bambino cristiano era sparito da giorni. Scattò il delirio collettivo e l’idea del rapimento che costò la vita ad almeno 40 ebrei, alcuni su un treno di passaggio. Gli altri fecero i bagagli in fretta e furia e accellerarono il loro trasferimento (direi piuttosto una fuga) in Israele.

Il bambino, che era scappato di casa per rifugiarsi in campagna da un amico, tornò in famiglia qualche giorno dopo.

L’accusa del sangue affonda le sue radici in quella, classica (un altro topos), di deicidio, trasferita sulla figura del Gesù “Bambino”. Una delle tante manifestazioni di antisemitismo di cui è impregnata la tradizione dell'occidente cristiano.

Oggi, a parte il delirio del giovane assassino di Charleston, siamo di fronte ad un altro luogo comune, urlato dai politici più esaltati ed amplificato dai media: quello che i flussi migratori infettino la nostra società.

Non si può escludere che alcuni dei migranti, viste le condizioni igienico-sanitarie in cui hanno vissuto per mesi, abbiano una qualche patologia; rari casi di malaria sono stati individuati e immediatamente affrontati. E qualche episodio di scabbia è stato segnalato. Problematiche di ordine medico che possono riguardare i migranti tanto quanto eventuali turisti e che, come qualsiasi caso di patologie, va affrontato con serietà e senza isterismi.

Abbastanza da creare una sorta di panico collettivo?

Direi piuttosto un altro luogo comune di cui non è difficile individuare l’origine: si tratta della “scabbia mentale” - come l’ha definita Gad Lerner - di cui sono portatori certi politici nostrani: una manifesta patologia psichiatrica, pericolosa e - questa sì - infettiva.

 

Foto: Cantiere Centro Sociale/Flickr

 

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