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Svizzera, permesso di soggiorno: passo indietro del Governo dopo il Referendum

Nel febbraio 2014 un quesito referendario di rango costituzionale (una di quelle meravigliose forme di democrazia diretta che la Svizzera mostra con legittimo orgoglio al mondo), ha stabilito, con uno scarto di soli 20 mila voti, che entro tre anni la Confederazione avrebbe dovuto fissare tetti massimi per i permessi di soggiorno e contingenti annuali per tutti gli stranieri, determinati in funzione dei bisogni dell’economia.

Sul mercato del lavoro la preferenza avrebbe dovuto essere data agli svizzeri. I trattati internazionali contrari a queste regole, come l’Accordo di libera circolazione delle persone con l’Unione europea avrebbero dovuto essere rinegoziati. Il referendum, promosso dall’Unione di centro (destra conservatrice), e che vedeva contrari tutti i partiti rappresentati nel parlamento federale con l’eccezione della Lega dei Ticinesi e del Movimento dei cittadini ginevrini, aveva tuttavia una formulazione piuttosto generica, non definendo né l’entità dei contingenti né l’autorità chiamata a fissarli e neppure i criteri da applicare. Motivo per cui il governo federale elvetico si era impegnato a sottoporre “al più presto” al parlamento una proposta per la sua attuazione, intavolando al contempo un dialogo con la Ue, da cui proviene la stragrande maggioranza dei flussi immigratori nella Confederazione. Nel 2013, anno precedente il referendum, infatti, su oltre 80 mila stranieri emigrati in Svizzera, circa il 75% proveniva dall’Unione. Senza contare i frontalieri italiani e francesi, che lavorano in Ticino e nella regione ginevrina.

L’accordo tra Svizzera e Ue per la libera circolazione delle persone è del 2002, e rappresenta l’architrave su cui poggia la pletora di accordi economici e commerciali bilaterali tra l’Unione e la Confederazione. La reazione di Bruxelles all’esito referendario fu immediata: niente libera circolazione, niente accordi bilaterali. Ciò premesso, voi svizzeri decidete pure in tutta libertà. Dopo oltre due anni e mezzo, ed a cinque mesi dalla scadenza del triennio, ieri il parlamento federale svizzero ha finalmente approvato unprogetto di attuazione dell’esito referendario. Esito che, ribadiamolo, ha prodotto un nuovo articolo costituzionale. E che è accaduto, quindi? Che la Camera del popolo ha deciso che il progetto di attuazione non applichi ai cittadini dei Paesi dell’Unione europea (UE) e dell’Associazione europea di libero scambio (AELS) i tetti massimi e i contingenti per l’immigrazione chiesti dall’iniziativa referendaria.

Ora, mentre in Italia i referendum sono solo abrogativi, non riguardano la costituzione ed hanno una robusta tradizione di svuotamento degli esiti per opera del legislatore, in Svizzera una simile pronuncia parlamentare ha fatto scandalo: la stampa parla apertamente di violazione della costituzione. Il punto vero è un altro: l’esito referendario ha spinto la Svizzera in un vicolo cieco, a fronte dell’intransigenza della Ue, che considera intoccabile il principio della libera circolazione delle persone. Motivo per cui, la pronuncia parlamentare rappresenta la scelta del minore dei mali tra perdere gli accordi bilaterali e disapplicare la volontà popolare che si fa costituzionale. Al punto che è in arrivo una nuova iniziativa popolare, dal suggestivo nome “Fuori dal vicolo cieco!“, che prevede di sottoporre all’elettorato l’abrogazione dell’articolo costituzionale adottato nella votazione del 9 febbraio 2014.

Come scrive con assoluto candore il quotidiano ginevrino le Temps:

«Si tratterà di trovare una soluzione che consenta di chiedere con eleganza al popolo – senza dargli la sensazione che si era sbagliato, perché detesta questo – di decidere tra la restrizione dell’immigrazione che voleva e la salvaguardia degli accordi bilaterali. Questo passaggio sembra difficilmente evitabile. (…) Al Consiglio degli Stati spetterà l’elaborazione di qualcosa più coerente»

Viviamo in tempi decisamente interessanti e terribilmente interconnessi, se persino nella magica Svizzera si giunge a sconfessare un esito referendario su un quesito esistenziale come l’immigrazione. Qualcosa di cui il governo britannico dovrà tenere conto, quando metterà mano all’Articolo 50, avvierà il processo di fuoriuscita dalla Ue e dovrà mettersi a negoziare con la Ue medesima su tutto ed il contrario di tutto. Intanto, prendiamo atto che la complessità del mondo e le sue interdipendenze stanno producendo ovunque una versione light della sovranità popolare. Il popolo è sovrano ma non troppo, per non farsi troppo male. A volte, e persino in un paese come la Svizzera, la democrazia diretta è un lusso che non ci si può permettere. Demagoghi avvisati, popolazione mezza salvata.

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