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Strage di Utoya: sarebbe stato giusto fare fronte comune? Risponde l’esperto

Con un editoriale uscito lunedì su Il Giornale, Vittorio Feltri si domanda perchè i ragazzi dell'isola di Utoya non hanno adottato, per salvarsi, quella che chiama “la teoria più vecchia del mondo”.

Abbiamo chiesto a Carlo Biffani, esperto di situazioni di rischio, come i ragazzi norvegesi si sarebbero dovuti comportare in quella drammatica situazione.

Con un editoriale uscito lunedì su Il Giornale, Vittorio Feltri si domanda perchè i ragazzi dell'isola di Utoya non hanno adottato, per salvarsi, quella che chiama “la teoria più vecchia del mondo”. Secondo Feltri, sotto la minaccia di una mitraglietta automatica, i ventenni avrebbero dovuto fare fronte comune e gettarsi disarmati contro Anders Breivik, il fondamentalista cristiano responsabile della strage di Oslo.

“Alcune persone - scrive - di sicuro vengono abbattute, ma solo alcune, e quelle che, viceversa, rimangono illese [...] hanno la possibilità di farlo a pezzi con le nude mani”. “E' incredibile - prosegue - come, in determinate circostanze, ciascuno pensi soltanto a salvare se stesso, illudendosi di spuntarla [...] l'uomo non ha [...] l'abitudine e l'attitudine a combattere in favore della comunità della quale pure fa parte. In lui prevalgono l'egoismo e l'egotismo”.

Abbiamo contattato telefonicamente Carlo Biffani, direttore generale della Security Consulting Group, una delle poche aziende italiane specializzate in sicurezza e situazioni di rischio, per domandargli come i ragazzi norvegesi si sarebbero dovuti comportare in quella drammatica situazione.

“La cosa migliore da fare è la fuga, la fuga con ogni mezzo - ci spiega - Non si può affrontare chi è in condizioni di forza preponderante a meno che non si metta in conto di lasciare sul terreno delle vittime che si sacrificano in nome della salvezza degli altri. Questo tipo di azione, però, è richiesta solo a una forza di polizia o a dei soldati, mi sembra evidente che un gruppo di ragazzi in campeggio non possa attuarla. Nell'istinto umano prevale la volontà di fuga piuttosto che quella di affrontare un pericolo, soprattutto di quel tipo. E' impensabile che ci si metta d'accordo mentre qualcuno cerca di ammazzarti”.

Si è fatto una idea dell'operato della polizia?

“La domanda che mi sono fatto è come mai la polizia norvegese non abbia reagito in maniera tatticamente corretta e in tempi adeguati. Una unità in linea con i nostri gruppi di intervento speciale dei Carabinieri o con i NOCS della Polizia, dovrebbe essere pronta per essere trasportata in tempi ragionevoli sul territorio per affrontare minacce di questo tipo. Consideri che in Italia ci sono gruppi pronti ad agire in meno di un'ora, in grandi centri abitati come Milano o Roma il tempo si riduce a quindici minuti. Secondo me hanno ragionato sulla base delle informazioni che arrivavano via telefono dalle vittime. In quel caso, se non si è pianificato e analizzato precedentemente un intervento di questo tipo, si rischia di andare ad intuito. Oggi, però, l'intuito è un tipo di risorsa a cui dovremmo fare affidamento il meno possibile”.

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