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Spagna, esiste un’informazione di sinistra

Il mese scorso Martino Iniziato ha tracciato un bilancio preoccupante di quel che rimane della stampa di sinistra italiana. Tra testate che chiudono (“L’Unità”, “Europa”) o che sono in grave crisi e a rischio di chiusura (“Pagina99”, “Il manifesto”) la situazione è piuttosto deprimente. Una delle domande che si sono poste è quella di come si possa, nell’attuale contesto politico e comunicativo, portare avanti o far nascere e rendere stabile un progetto di informazione “a sinistra”. “Pagina99” credo ne sia un buon esempio: il progetto è di qualità, ci sono lettori, il sito è in crescita, c’è fiducia tra gli inserzionisti, ma pare che tutto ciò non sia sufficiente. Perché? Qui sta il nocciolo della questione. Trovare una risposta soddisfacente sembra ormai così difficile tanto quanto trovare un ago in un pagliaio. Forse è utile dare un’occhiata a quel che succede in altri contesti e in altre latitudini per capire se quello italiano è un caso più unico che raro o se è la triste normalità.

Quando la Spagna guardava all’Italia…

Nella Spagna uscita dal franchismo l’informazione “partigiana” e di “sinistra” non è mai decollata. Il contesto era differente a quello italiano, questo è certo – si veniva dalla clandestinità con tutti gli annessi e conessi –, ma anche la situazione della carta stampata era ben diversa da quella attuale – i giornali erano solo in versione cartacea e all’epoca… se ne vendevano–. La stessa sorte è toccata ai partiti di sinistra: durante la transizione di fine anni Settanta, il “partito dell’antifrachismo”, il PCE, non è riuscito a capitalizzare il grande lavoro di resistenza compiuto nei quarant’anni di dittatura. Nel 1982, anno della vittoria del PSOE di Felipe González, il partito di Santiago Carrillo era praticamente scomparso dallo scenario politico. Carrillo si dimise e il PCE entrò in un lento processo che avrebbe portato qualche anno dopo alla nascita di Izquierda Unida (IU).

“Mundo Obrero”, lo storico giornale del PCE, visse un’epoca relativamente dorata tra il 1978 e il 1980, quando divenne quotidiano (grazie all’appoggio dei militanti e dei lavoratori spagnoli); poi, come il partito, entrò in una lenta e costante decadenza. Per i comunisti spagnoli la sinistra italiana, con il suo potente reticolo culturale e comunicativo, era un modello da imitare. Certo, qualcosa “a sinistra” esisteva ed è sempre esistito nell’eterogeneo mondo della sinistra iberica, in Catalogna e nei Paesi Baschi, soprattutto, ma non solo. Però si è sempre trattato di progetti che non hanno mai raggiunto nemmeno lontanamente l’importanza, la diffusione e la tiratura dei giornali italiani.

Nella Spagna di Zapatero…

Negli anni del cosiddetto “riflusso” – gli anni Ottanta – e negli anni compresi tra l’ultimo governo González e i due governi Aznar (1993-2004) il panorama non è cambiato molto. Sono nati nuovi progetti di informazione (“El Mundo”) e se ne sono consolidati, anche a livello internazionale, altri (“El País”), ma non proprio “a sinistra”, dove si è continuato con progetti che, benché interessanti, hanno sempre avuto vita breve e una diffusione limitata.

Durante il primo governo Zapatero (2004-2008) hanno visto la luce alcuni interessanti progetti. Alcuni di nicchia e legati a doppio filo ai movimenti sociali, come il bimensile “Diagonal” – il cui primo numero è uscito nel marzo del 2005 dalle ceneri di “Molotov”, mensile di “controinformazione” pubblicato dal 2000 al 2003 – o il settimanale in lingua catalana “La Directa”, nato a inizio 2006, sempre su posizioni di una sinistra anticapitalista, ma, in questo caso, molto sensibile anche all’indipendentismo. Entrambi i progetti si sono consolidati in questi anni, non senza difficoltà e con altalenanti problemi strutturali ed economici, e attualmente dispongono anche di rinnovati siti aggiornati quotidianamente, oltre all’edizione cartacea. Progetti importanti, ma che non riescono a fare il “salto” per diverse ragioni: “Diagonal”, ad esempio, ha una tiratura di 10.000 copie e può contare su quasi 5.000 abbonati, mentre il sito web aveva, a fine 2013, 250.000 visite mensili.

Bisogna aspettare il settembre del 2007 per incontrare un progetto di informazione “a sinistra” con una tiratura più alta. Si tratta di “Público”, quotidiano fondato da Tatxo Benet e dall’impresario catalano Jaume Roures. Con un passato di attiva militanza trotskista, Roures è stato a fine anni Novanta uno dei fondatori di MediaPro, gruppo di comunicazione spagnolo che possiede il canale televisivo La Sexta e che ha prodotto importanti progetti cinematografici, da alcuni film di Woody Allen a “Comandante” di Oliver Stone. Tra il 2007 e il 2012, “Público” ha dimostrato che esiste una domanda di informazione “a sinistra” in Spagna: quello che mancava era, semmai, l’offerta.

Mentre “El País” si spostava sempre più al centro con alcune sterzate finanche a destra su alcune questioni – una deriva che continua e che pare non avere freno –, “Público” si conquistava uno spazio importante nel centro-sinistra – la tiratura media tra luglio 2010 e giugno 2011 era di 130.000 copie – e dimostrava che il progetto cominciava ad essere sostenibile anche finanziariamente.

L’esperienza di “Público” si è conclusa però piuttosto improvvisamente il 24 febbraio 2012. Secondo i proprietari della testata, il progetto non era sostenibile e non si sono trovati nuovi finanziatori. Dunque, giornale chiuso e tutti a casa. E senza nemmeno ricevere gli stipendi dei mesi precedenti. È seguita la trafila delle cause legali e dei processi, ma alla fine tutto si è risolto con il danno (e la beffa) per i giornalisti e i lavoratori. A fine maggio del 2012 “Público” è stato infatti messo all’asta e se lo è aggiudicato Display Connectors, un’impresa dello stesso Jaume Roures. Come ha spiegato in una serie di reportage pubblicati tra 2012 e 2013 la rivista satirica “Mongolia”, nata proprio dalle ceneri di “Público” – reportage poi ripubblicati nel libro “Papel mojado. La crisis de la prensa y el fracaso de los periódicos en España” (Debate, 2013) –, pare che il progetto di “Público” facesse parte di una strategia, ideata da Roures, per ottenere da Zapatero, allora al governo, la licenza per La Sexta, catena televisiva proprietà di MediaPro. Ossia, fare pressione creando un giornale che fosse una spina nel fianco, da sinistra, del governo del PSOE. Nel 2010 La Sexta ottenne effettivamente la licenza, l’ultima concessa dal governo Zapatero per l’analogico terreste, e da quel momento gli investimenti di Roures in “Público” sono diminuiti rapidamente, fino a scomparire a fine 2011, poco prima della chiusura del quotidiano.

Nella Spagna della crisi…

Da una situazione apparentemente disastrosa – segnata, tra l’altro, dalla vittoria del Partito Popolare (PP) alle elezioni del novembre 2011 – sono nati diversi progetti di qualità. E tutti, chi più chi meno, “a sinistra”. Dalle ceneri di “Público” sono risorte varie Arabe Fenici, per dirla con una metafora. Progetti che tra la metà del 2012 e questo inizio di 2015 sono cresciuti e si sono consolidati.

Uno di questi è, come si diceva poc’anzi, la rivista “Mongolia”, un mensile satirico che ha iniziato le pubblicazioni a fine marzo del 2012. Satira iconoclasta, humor che sa di Monty Python e che ad un lettore italiano ricorda “Il Male”, ma che nelle sue oltre quaranta pagine dedica anche una sezione (“Reality News”) ai reportage sulla crisi economica, sulle influenze delle lobby economiche nel campo dell’informazione o sulla corruzione. Mongolia ha attualmente una tiratura di 40.000 copie e ha vinto, nel settembre dell’anno scorso, anche il “Premio Satira Politica” di Forte dei Marmi nella sezione giornale satirico straniero.

Alcuni giornalisti e lavoratori di “Público”, dopo la chiusura del quotidiano, hanno creato, con l’obiettivo di comprare la testata, la cooperativa MásPúblico, con l’appoggio anche di lettori e abbonati del giornale. Non ci sono riusciti e da lì è nato un nuovo progetto. Nella primavera del 2012 hanno pubblicato due numeri unici di una rivista chiamata “MásPúblico”; poi, da dicembre del 2012 hanno iniziato la pubblicazione di una rivista mensile, “La Marea”, che guarda a “TagesZeitung”, giornale tedesco nato nel 1992 e gestito da una cooperativa (attualmente TAZ ha 250 dipendenti e 13.800 abbonati). Oltre che un mensile cartaceo, “La Marea” è anche un quotidiano on line. Attualmente la tiratura è di 15.000 copie, gli abbonati sono oltre 2.500 e le visite uniche mensili dell’edizione on line sono 370.000, secondo dati di settembre 2014.

Il progetto per essere sostenibile ha bisogno di 5.000 abbonati e si è sulla buona strada, se si pensa che, in quanto cooperativa, i soci (attualmente 128 tra lavoratori e lettori) sono anche i proprietari del 100% del giornale e decidono in una assemblea semestrale le decisioni da prendere ed eleggono un Consejo Rector, formato da tre lavoratori e tre lettori, che gestisce le attività quotidiane fino all’assemblea successiva. Esiste poi un codice etico che limita la pubblicità: in tutto il 2013 “La Marea” ha guadagnato solo 8.500 euro tramite pubblicità. Per ora il progetto è ancora in perdita, ma le perdite mensili sono diminuite considerevolmente, la cooperativa non ha debiti con nessuno e i lavoratori percepiscono un salario di 1.000 euro lordi.

Un progetto simile è quello di “Alternativas Económicas”, mensile di informazione economica, politica e sociale, che ha iniziato le pubblicazioni nel marzo del 2013. Proprietà di una cooperativa che porta lo stesso nome della rivista, “Alternativas Económicas” si ispira alla francese “Alternatives Economiques”, nata 32 anni fa. Con una tirata di 10.000 copie e poco più di 1.000 abbonati, è la sorella minore di “Mongolia” e “La Marea”, ma il progetto sembra essersi stabilizzato, anche grazie alla collaborazione di conosciuti giornalisti come Enric González o lo stesso direttore, Andreu Missé.

Sempre dalle ceneri di “Público” e sempre nel mese di marzo del 2013 è nata anche “Tinta Libre”, una rivista mensile che offre lunghi reportage e che è diretta da Javier Valenzuela, ex vicedirettore de “El País”. “Tinta Libre” è la rivista cartacea di “InfoLibre”, giornale on line fondato e diretto dall’ultimo direttore di “Público”, Jesús Maraña (320.000 visite uniche nel mese di gennaio 2014). Non si tratta di una cooperativa in questo caso: il capitale è stato fornito da alcuni soci, tra cui il giornale francese “Mediapart” e la casa editrice “Edhasa”, e da un “Club di amici” formato da importanti figure della cultura e della società spagnola, come Pedro Almodovar e Baltasar Garzón.

Nel settore dei quotidiani on line merita una menzione speciale “eldiario.es”, nato nel settembre del 2012 e diretto da Ignacio Escolar, che è stato il primo direttore di “Público” tra il 2007 e il 2009. Informazione di qualità, edizioni locali, buoni articoli di opinione: in poco più di due anni “eldiario.es” si è convertito in un importante quotidiano “a sinistra”. Inoltre, dalla primavera del 2013 pubblica i “Cuadernos”, una rivista cartacea trimestrale. Dietro “eldiario.es” c’è la società Diario de Prensa Digital S.L., di cui oltre il 50% è in mano ai lavoratori del giornale. Alla fine del primo anno “eldiario.es” era già in pareggio di bilancio e poteva contare su oltre un milione di visite uniche mensili, avvicinandosi così a “Público.es”, ossia quel che è rimasto dopo la chiusura dell’edizione cartacea del quotidiano. “Público.es” si è dato una nuova veste e si è trasformato in un quotidiano on line, sfiorando i due milioni di visite uniche mensili per il mese di gennaio 2014. Per avere un confronto, “El País” e “El Mundo”, i due quotidiani più letti in Spagna, nello stesso mese ne avevano poco più di 7 milioni.

“Público.es” ha poi trovato nuova linfa appoggiando e ospitando altri progetti di informazione come “La Tuerka”, il programma televisivo creato nell’ottobre del 2010 da Pablo Iglesias e da altri giovani professori ed attivisti dell’Università Complutense di Madrid, che hanno partecipato alla fondazione di Podemos. Dall’ottobre dello scorso anno, dopo essere stato trasmesso da varie tv locali, “La Tuerka” si è trasformato in diversi programmi televisivi (sempre di dibattito politico e informazione), arrivando a coprire praticamente tutte le serate della settimana, e viene trasmesso da Público TV. Un’esperienza, quella de “La Tuerka”, raccontata dettagliatamente nel recente “Claro que Podemos. De ‘La Tuerka’ a la esperanza del cambio en España” (Los libros del lince, 2014), volume curato da Ana Domínguez e Luis Giménez.

Quella spagnola è senza dubbio una situazione completamente diversa da quella italiana. Le differenze tra i due contesti a livello politico sono molte e il peso del passato – soprattutto all’interno della sinistra italiana – influisce indubbiamente sulle possibilità dell’oggi. Ciò non toglie però che in Italia è difficile trovare progetti simili a quelli de “La Marea” o de “eldiario.es”, nati senza finanziamenti pubblici e dal basso, senza finanziatori esterni, se non i lettori e gli abbonati o, eventualmente, i soci della cooperativa che pubblica la rivista. E nati, per di più, in un momento di profonda crisi economica per la Spagna. Perché in Italia non si vedono molte iniziative di questo tipo? O nel caso in cui nascano, come per “Pagina99”, perché faticano a consolidarsi e rischiano di scomparire nel giro di pochi mesi? Se quaranta o anche venti anni fa era la sinistra spagnola che guardava con una sana invidia alla sinistra italiana e la prendeva a modello, ora dovrebbe essere la sinistra italiana – o quel che ne resta – a prendere a modello la sinistra spagnola, anche per quanto riguarda gli eterogenei progetti di informazione giornalistica.

di Steven Forti
(ricercatore presso l’Instituto de Historia Contemporanea dell’Universidade Nova de Lisboa e presso il CEFID dell’Universitat Autònoma de Barcelona)

Questo articolo è stato pubblicato qui

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