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Silvio va in panchina; i tifosi se ne sono già andati

"Sventolare la bandiera dell’anticomunismo, ha scoperto, non fa più accorrere alle urne elettori pronti a tutto per fermare il pericolo rosso (...). Sono plebaglia questi italiani che non rispondono più al richiamo dei simboli?".

Coach Rusconi, unico allenatore professionista per cui abbia giocato, non me l’ha mai detto chiaro e tondo, ma i minuti in campo, dopo i primi due, dovevo guadagnarmeli uno ad uno. Non usava statistiche particolari né si affidava al suo occhio d’esperto per decidere se lasciarmi continuare o no; guardava la differenza di punteggio tra noi e gli avversari. Se con me aumentava a nostro favore, restavo; se si avvantaggiavano gli altri, mi rispediva in panchina a tutta velocità. Purtroppo i cittadini italiani, quelli a cui spettano certe decisioni anche in una democrazia sui generis come la nostra, non sono stati tanto pragmatici quanto il mio vecchio coach e hanno lasciato in campo Silvio Berlusconi troppo a lungo. Se ne va in panchina solo adesso, stremato e in fondo solo per decisione propria, quando la partita, per il paese, è ormai compromessa

A Berlusconi si attribuiscono anche colpe non sue (quando esplose il nostro debito non faceva politica; solo la claque per il suo santo protettore Bettino Craxi), ma neppure i suoi sostenitori possono affermare che, durante il suo ventennio, abbia davvero cambiato il nostro paese per il meglio. Rispetto al 1994, l’Italia è più povera, con un’economia meno competitiva e una società meno giusta. Come allora, per certi versi, e dunque peggio d’allora perché ha perso tempo e occasioni.

Aveva una sua logica (non la mia, sia detto) che gli italiani si affidassero a lui, presentatosi come alfiere del nuovo, davanti al vuoto lasciato dal collasso della Prima Repubblica. Aveva senso pensare che il grande imprenditore potesse riportare l’Italia sulla strada dello sviluppo: che smuovesse le acque della nostra società, prima che della nostra economia, che iniziasse a sanare le nostre finanze e scegliesse ministri più competenti dei satrapi democristiani, socialdemocratici….

Aver continuato a dargli fiducia fino quasi ad ieri, nonostante non abbia fatto nulla di tutto questo, non ha invece a che vedere con logica e buon senso. Sono state le sue televisioni ed i suoi giornali ad ingannare gli italiani? Solo in parte. Soprattutto sono stati i suoi elettori a non voler mai controllare il punteggio, per tornare alla metafora; le cifre di una spesa pubblica che continuava a salire, di un debito che faceva lo stesso e di uno sviluppo economico che non c’era (i nostri tassi di crescita, con lui, sono stati risibili anche negli “anni buoni”). Non hanno neppure badato alla qualità del gioco, gli elettori di centro-destra, ignorando tanto la sua incapacità di rappresentare l’Italia degnamente quanto il livello, spesso infimo, dei ministri/famigli di cui si è avvalso, seppure fossero lì da vedere, coi loro modi e lessico, nelle infinite comparsate televisive di cui erano protagonisti.

È in quel “centro-destra” la chiave di tutto. Nelle peculiarità del nostro elettorato, ingabbiato dentro confini inamovibili, che a un certo punto sceglie se essere di qua o di là e vi resta a vita, a dispetto di tutto. Accade anche altrove, intendiamoci, ma non nella stessa misura, non con la stessa intensità di sentimenti. È chiaro che questo si debba alla nostra storia; è pure chiaro che, assieme al voto di scambio, sia la causa prima della nostra incapacità di selezionare una classe politica adeguata. Berlusconi (conflitto d’interessi compreso) ed i suoi ministri erano quel che erano, ma si erano appropriati del “franchising “della destra e gli elettori di destra fedelmente li votavano. Punto.

Considerazione che si può fare specularmente per la sinistra, dove i proclami di principio, il dirsi “davvero di sinistra”, hanno sempre contato più di qualunque risultato pratico; dove ancora oggi si difende la decisione di far cadere Romano Prodi perché non “abbastanza di sinistra”, nonostante questo abbia voluto dire, nei fatti, dare l’Italia a Berlusconi. Dove si finirà per rischiare di perdere le prossime elezioni, o vincerle di stretta misura, nonostante non vi siano quasi avversari, per privilegiare “l’identità” rispetto alla necessità, per tentare di cambiare e salvare il paese, di costruire una larga maggioranza, tanto nella società quanto in Parlamento.

Sono morte le ideologie, tra la fine del secolo scorso e l’inizio di questo, ma nel nostro paese le tifoserie, fino ad poco fa, hanno continuato a stare benissimo. Ora le cose non stanno più così e a dimostrarlo, oltre alla crescita del M5S e del numero degli indecisi, c’è proprio il fatto che Silvio Berlusconi abbia rinunciato a candidarsi. Sventolare la bandiera dell’anticomunismo, ha scoperto, non fa più accorrere alle urne elettori pronti a tutto per fermare il pericolo rosso, esattamente come tanti, a sinistra, non sono più disposti a firmare cambiali in bianco per riaffermare la propria fede nell’idea. Sono plebaglia questi italiani che non rispondono più al richiamo dei simboli? A dire il vero assomigliano molto a degli elettori normali di un paese normale; ad allenatori capaci di mandare in panchina, come fecero gli inglesi con Churchill dopo la guerra, anche il proprio campione. Il vero problema non sono loro, anzi; è che siamo sotto e il tempo sta per scadere.

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