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Siamo uomini o clericali?

La Democrazia Cristiana è stata per decenni il partito di riferimento dei cattolici (e della Chiesa). Pungolata dal Vaticano, si è barcamenata tra ossequioso clericalismo e relativa autonomia dai diktat delle gerarchie. Valentino Salvatore ripercorre la storia della peculiare “laicità” della Balena Bianca sul numero 1/2024 di Nessun Dogma. Per leggere la rivista associati all’Uaarabbonati oppure acquistala in formato digitale.

Oggi quasi tutti i partiti nostrani sembrano permeabili al clericalismo. Latita una schietta idealità laica, si rincorre l’identità cattolica. Qualcuno pensa: si stava meglio quando si stava peggio, nella prima repubblica egemonizzata dalla Democrazia cristiana. Il partito dello scudo crociato è dipinto addirittura come campione di laicità.

Ma le (faticose) conquiste sui diritti civili di quel periodo e un generoso revisionismo fanno dimenticare la storia confessionale della Balena bianca. Mentre il regime fascista è in agonia viene concepita la Dc. Papa Pio XII e monsignor Giovanni Battista Montini, nella segreteria di stato vaticana e futuro papa Paolo VI, coinvolgono discretamente i cattolici che operano nelle organizzazioni protette dalla Chiesa.

Don Luigi Sturzo, il padre del partito popolare sacrificato nel compromesso col fascismo, torna dall’esilio. Le linee programmatiche del nuovo partito sono nel codice di Camaldoli, frutto di giornate di studio in un monastero sotto l’ala del vescovo di Bergamo, nel fatidico luglio del 1943. La Dc capeggiata da Alcide De Gasperi entra nel comitato di liberazione nazionale, partecipa alla resistenza.

Dal 1946, con la transizione repubblicana, si incrina la collaborazione tra comunisti, socialisti e liberali, fino alla sterzata centrista dei democristiani. Il clima è teso, tra incidenti, rese dei conti e uccisioni soprattutto da parte dei filosovietici.

Nell’assemblea costituente ci si scontra sul fronte della laicità. Il Vaticano, ripulitosi dal compromesso con il fascismo, vuole mantenere i privilegi ottenuti: il concordato è la sua linea del Piave. Il presidente dell’Azione cattolica Vittorino Veronese nel marzo del 1947 scrive a De Gasperi che il «desiderio preciso della stessa autorità ecclesiastica» è approvare l’articolo 7: «da tale votazione dipenderà la preferenza dei cattolici stessi nelle future elezioni politiche».

De Gasperi è profondamente cattolico ma non apprezza l’ingerenza vaticana, vuole onorare il suo ruolo istituzionale e collaborare con le forze parlamentari per la transizione. Vuole i patti lateranensi in costituzione, ma aperti a possibili future modifiche e garantendo diritti delle minoranze religiose e doveri del clero. I tentativi del devotissimo e poverista Giorgio La Pira di inserire l’indissolubilità del matrimonio e un preambolo con la formula “In nome di Dio” cadono per l’opposizione dei partiti laici e per la flessibilità di parte della Dc.

Tra gli anni quaranta e cinquanta nel nome dell’anticomunismo si mobilitano pure le parrocchie con comitati civici e madonne pellegrine. Nel 1948 alle prime consultazioni politiche trionfa la Democrazia cristiana in un clima stile don Camillo e Peppone, iconici personaggi del caustico scrittore (e autoproclamato «reazionario») Giovannino Guareschi. Proprio lui crea il fortunato slogan «Nel segreto della cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no», ma disprezza De Gasperi e il suo moderatismo.

La scomunica dei comunisti nel 1949 vuole spingere i fedeli verso la Dc (e la destra) e stroncare la normalizzazione. Sono frequenti le intese elettorali tra clero e democristiani, specie a livello locale. A fine anni cinquanta padre Antonio Messineo, eminente gesuita e redattore de La Civiltà Cattolica, promette al vice segretario Dc Angelo Salizzoni il sostegno per le amministrative in Sicilia. Altro gesuita che sguazza tra mondo politico e imprenditoriale è don Virginio Rotondi, vicino ai presidenti della repubblica Giovanni Gronchi e Giuseppe Saragat.

Nel 1952 De Gasperi si scontra con il Vaticano che vuole la coalizione con neofascisti e monarchici per votare don Sturzo sindaco di Roma. Pio XII schiera pure padre Lombardi per convincerlo. «Se mi verrà imposto dovrò chinare la testa, ma rinunzierò alla vita politica», spiega l’antifascista De Gasperi. L’intesa non decolla (anche Montini è contrario) ma l’episodio turba il capo Dc, che subisce dal papa un altro sgarbo.

Un caso diplomatico: Pio XII non lo riceve in Vaticano per l’anniversario di matrimonio. De Gasperi risponde all’ambasciatore Francesco Giorgio Mameli: «come cristiano accetto l’umiliazione, benché non sappia come giustificarla. Come presidente del consiglio italiano e ministro degli esteri, l’autorità e la dignità che rappresento e dalla quale non posso spogliarmi neanche nei rapporti privati, m’impongono di esprimere lo stupore per un gesto così eccezionale e di riservarmi di provocare dalla segreteria di Stato un chiarimento». Il capo della Dc muore due anni dopo.

I democristiani mainstream hanno un rapporto organico con le alte gerarchie, più prosaicamente come quello fra allenatore e squadra di calcio. Il cursus honorum democristiano passa da organizzazioni confessionali. La triangolazione tra Chiesa, associazionismo e partito è in gergo “collateralismo”. Pure luoghi santi segnano lo scudo crociato: ad esempio l’influente corrente dei dorotei (moderata, anticomunista, contro l’apertura a sinistra e vicina al clero) è battezzata nel convento di santa Dorotea a Roma.

Tra le altre, più distante dalla curia è “La Base”, corrente di sinistra fondata da Giovanni Marcora, il comandante partigiano “Albertino” poi fautore della legge sull’obiezione di coscienza alla leva. Nel 1958 Montini, da vescovo di Milano, boicotta la candidatura di Luigi Granelli e un altro candidato della corrente, Ciriaco De Mita, accusa i vescovi locali che lo ostracizzano di «simonia» per il traffico di preferenze elettorali.

Partono i fermenti sociali che si riverberano poi sul partito. Il futuro semiologo Umberto Eco è, negli anni cinquanta e prima del passaggio all’ateismo, una promessa della Giac (sezione giovanile dell’Azione cattolica). Abbandona Ac con altri, polemici verso Luigi Gedda, medico genetista (ed eugenetista) fedelissimo del Vaticano.

Con il centrismo in affanno, il segretario Dc Aldo Moro promuove l’apertura ai socialisti, ormai distanti dal Pci dopo l’invasione sovietica in Ungheria. Moro sonda i vescovi, presieduti dall’influente cardinale e arcivescovo conservatore Giuseppe Siri, che però non sono convintissimi. Per Giovanni XXIII invece i tempi sono maturi: alla vigilia del concilio nel 1962 sul treno per Loreto – prima uscita da Roma di un pontefice dall’unità d’Italia – apre all’ipotesi di centrosinistra di Fanfani. Nel 1964 Paolo VI frena Fanfani affinché non si candidi a presidente della repubblica dopo le dimissioni di Antonio Segni, spianando la strada al socialdemocratico Saragat.

La Chiesa conciliare sembra fare timide aperture per imbrigliare il fermento cattolico più sensibile alla contestazione e Paolo VI rinnova l’apertura di credito al centrosinistra. Ma il compromesso storico con i comunisti auspicato da Moro naufraga a causa della crescente opposizione interna (e clericale) di figure come Giulio Andreotti, della tragica uccisione dello stesso Moro per mano delle Brigate Rosse e dell’elezione di papa Wojtyla, anticomunista polacco. Proprio il porporato Siri il giorno del rapimento di Moro nel 1978 dichiara stizzito: «Ha avuto quel che si meritava per aver trafficato con i comunisti».

La società si modernizza: la Dc da un lato frena, dall’altro dosa il processo. Emblematico il caso del divorzio, approvato dal parlamento nel 1970, che ha il consenso di molti fedeli. Il Vaticano con il sostituto alla segreteria di Stato monsignor Giovanni Benelli sprona il segretario Dc Amintore Fanfani alla crociata assieme ai postfascisti. Ma intellettuali, politici e attivisti di area Dc si ribellano e fondano un comitato di cattolici per il no (contrari all’abolizione). Il tentativo di affossare il divorzio con il referendum nel 1974 culmina in un fallimento epocale.

Un momento che segna la parabola discendente dello scudo crociato. Nel 1978 passa la legge sull’aborto, proposta da partiti laici e sinistra, dopo un lungo iter e compromessi come l’obiezione di coscienza. La bocciatura del doppio referendum abrogativo del 1981 (in senso più libertario dai radicali, in senso più restrittivo dal movimento per la vita) mostra lo scarso mordente dei clericali.

Intanto proseguono le trattative per la revisione del concordato. Grazie all’accondiscendenza di democristiani e socialisti il Vaticano gode di un atterraggio morbido, togliendosi l’antistorica zavorra della “religione di Stato” ma tenendo la sostanza dei privilegi fiscali e scolastici. Nel 1984 si arriva agli accordi di villa Madama con il presidente del consiglio socialista “laico” Bettino Craxi e il ministro degli esteri (e papalino) Giulio Andreotti.

La Balena bianca pian piano affonda tra spaccature di correnti, ingigantirsi di scandali e corruzione, logorio degli anni di piombo, di paventati golpe e della strategia della tensione. Negli anni ottanta lo scoop sulla loggia massonica P2 (che ha affiliati non pochi democristiani) fa perdere ancora credibilità, fino all’implosione per tangentopoli nei primi anni novanta.

Con la seconda repubblica i politici cattolici si disperdono tra destra e sinistra, il minoritario liberalismo laico viene inglobato e catechizzato dall’homo novus Silvio Berlusconi, il crollo del comunismo spezza una delle poche tradizioni ideologiche strutturate: la Chiesa non è più costretta ad avere un unico referente politico. Ciò rende il clericalismo multiforme: quasi ogni partito ha la sua quota di ex Dc che declina la tradizione politica con sfumature differenti, da quelle più sociali e “progressiste” (incarnate per un periodo dall’ex Dc Romano Prodi) a quelle più reazionarie e identitarie che vanno a saldarsi con la destra.

Il crollo della Dc non attenua l’influenza del cattolicesimo a livello politico, anzi. Opposti schieramenti si contendono l’elettorato cattolico (e il clero) con appelli ai valori e atti di ossequio. Specularmente la mancanza di un fulcro politico comune dei cattolici porta diversi esponenti del clero a interfacciarsi con varie forze partitiche. E da ognuna ottengono qualcosa.

Si nota ad esempio nella sussidiarietà bipartisan, che appalta a organizzazioni confessionali funzioni pubbliche su sanità, assistenza, servizi, welfare, o nella “riforma” della scuola che integra nel sistema nazionale d’istruzione le private confessionali. Partiti diversi trovano un ambito in cui coinvolgere preti, pure negli apparati dello Stato.

Rimane qualcosa di laico della Dc? Oggi le ostentazioni di crocifissi e rosari o gli sdilinquimenti per ogni ammiccamento inclusivo o ecologista di papa Bergoglio portano alcuni a rivalutare la levatura culturale e istituzionale di certi democristiani, lo stile compassato che non ha bisogno di proclamare la fede, il moderatismo perbenista bollato come ipocrita.

Ma la Dc sembra incarnare una concezione antiquata di laicità, oggi rivalutata non a caso da papi e clericali e contrapposta allo spauracchio del “laicismo”, fondata sulla distinzione tra il clero che si occupa (in teoria) di elevate questioni spirituali e i terreni e fallibili non tonacati portati a sofferti compromessi politici e sociali. Una laicità intesa come margine di autonomia rispetto al clero, pur nei saldi principi religiosi. Qualche risultato con lentezza e accomodamenti arriva: aborto, diritto di famiglia e divorzio.

Impossibili se la Dc fosse stata una monolitica cinghia di trasmissione dei diktat clericali e non un partito animato da sensibilità differenti e pure bisognoso di compromessi con altre forze per rimanere al potere. La Dc non subisce una «esplicita concorrenza» come riferimento per clero e cattolici, sostiene Stefano Rodotà, quindi può permettersi «un atteggiamento se non più laico, certo più indipendente di fronte alle posizioni della Chiesa». La storia della peculiare laicità democristiana è in sostanza la storia dei “no” e dei “ni” alle pressioni e alle pretese della curia vaticana.

Valentino Salvatore

Approfondimenti

  • Marco Damilano, Democristiani immaginari. Tutto quello che c’è da sapere sulla Balena bianca, Vallecchi, 2006
  • Marco Follini, Democrazia Cristiana. Il racconto di un partito, Sellerio, 2019
  • Stefano Rodotà, Perché laico, Laterza, 2009

 

 

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