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Shooting Silvio. Museruola in arrivo?

Se la domenica di Pasqua il Salvatore risorgeva a nuova vita, il giorno dell’Angelo su Sky avveniva un altro “deicidio”: l’uccisione dell’ ”Unto del Signore” nostrano nel film “Shooting Silvio”(2007) di Berando Carboni. E’ subito polemica.

Si tratta di un film low budget, realizzato con 150 mila euro messi a disposizione dalla produzione, un paletto da non trascurare. Veniamo alla trama.

Il protagonista progetta il rapimento e l’omicidio di Silvio Berlusconi. Film appannaggio delle gesta oniriche di molti italiani?

Bando all’ironia, Kurtz (non a caso, nome del colonnello di Apocalypse Now incline all’inquietudine e al delirio) è un giovane scrittore che propone ai suoi amici di scrivere un libro-vademecum che possa servire a sbrindellare il potere del Premier. Arriverà a mettere in discussione il potere della parola e a virare verso una linea più incisiva: l’azione.

Inevitabili le proteste a cascata in seno al Pdl: “caduta di stile” (Piero Testoni), ”inno alla violenza e incitamento implicito ad azioni efferate” (Beatrice Lorenzin), “cosa di pessimo gusto” (il vicepresidente dei senatori Francesco Casoli), “dopo Annozero ora Shooting Silvio” (Nunzia De Girolamo).

Aria di decreto? Nuovi rifornimenti di museruole in arrivo. Dopo Vauro, Carboni?

Sky fa un passo indietro risucchiata dalle giustificazioni. Su lei avrebbe gravato il pacchetto Anica che la obbliga ad acquisire tutti i film italiani che abbiano raccolto in sala più di 20 mila spettatori. Ha provato a chiudere gli occhi di fronte al lauto pranzo ma non ha potuto farlo perché troppo esposta all’azione di forze esogene di controllo.

Tra i produttori della pellicola e la pay–tv sarebbe nata una diatriba e la paladina della giustizia Siae, che si occupa della concessione di licenze e autorizzazioni per lo sfruttamento economico di opere, avrebbe dato man forte all’acquisizione del film, in ossequio al pacchetto suddetto.

A cominciare dal titolo, difficile non venir catturati dalla sua voce provocatoria. L’autore gioca sul valore polisemico del verbo inglese “to shoot” che significa “sparare” ma anche “filmare”. Il regista, a fronte delle polemiche scatenatesi, precisa che il film non vuole essere un’apologia di reato (un film di guerra non è un inno alla guerra) ma un’occasione per riflettere.

“C’è un lato A ma non c’è un lato B. Prima c’era voglia di lato B, ora no: chi stava con Berlusconi, sta ancora con lui. Chi non stava con lui, ora ha rinunciato alla battaglia".

Il film è un invito a dar voce alle proprie idee. Mai sentito parlare di catarsi? Aristotele docet. Si apparecchia una cerimonia purificatrice, un banchetto su cui sacrificare l’oggetto della contaminazione. Si vuole dar voce al disagio di una generazione che non crede nel mito disegnato da quest’uomo. Ecco le cellule più giovani alle prese col tessuto socio-politico.

Il giornalista Marco Travaglio ne prende parte, dissociandosi però da un possibile attentato al Premier: “è bene che sia pure in posizioni indebolite, sia pure nei ranghi che gli sarebbero consentiti da qualunque altra democrazia, quindi non dall’Italia. Rimanga Berlusconi come una specie di testimone di come si può diventare quando si perdono i sensi veri della democrazia”.

Travaglio non ha dovuto recitare. La sua comparsa non gli è costata il minimo sforzo visto che nella vita reale, pensa esattamente le stesse cose. A lui il regista consegna la frase più importante, una citazione di Gaber: “Non mi preoccupa Berlusconi in sé ma Berlusconi in me”.

Qual è l’origine di quello che per alcuni, ha la fisionomia di un “oltraggio”?

Carboni promosse a Musa, una delle solite gaffes del Premier che aveva cavalcato le onde della radio. Per l’ennesima volta si era ritrovato imbrattato di disagio e aveva sentito la necessità di scrollarselo di dosso, esprimendo il proprio disappunto nei confronti di chi rappresentava il nostro Paese. Carboni ha emesso il primo vagito. Speriamo non venga imbavagliato dai colonizzatori.

 

Commenti all'articolo

  • Di marvin (---.---.---.242) 20 aprile 2009 08:36

    Prosciugare l’acqua dove sguazzano i disonesti. I politici nazionali sono il frutto dei politici locali, se al vertice c’è del marcio, alla base c’è del marcio. Per riportare l’Italia in una condizione di decenza sociale, civile e morale si deve partire dalla radice: la famiglia, il quartiere, la città. Se anche si decapitasse la classe politica del vertice, le metastasi della loro base si svilupperebbero immediatamente e i rimpiazzi sarebbero istantanei. Facciamo una scelta oculata al momento del voto locale, e se non c’è niente di pulito tra le liste in competizione, non recarsi alle urne. Dare vita a movimenti cittadini spontanei che si battano per i piccoli problemi e agire sempre insieme agli altri. UNITI SI VINCE. Educare i nostri figli facendo capire loro che non commettere reati deve essere un desiderio che parte dal proprio animo e non un comportamento indotto dalla paura della pena che potrebbe esserci inflitta.

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