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Scandali, riciclaggi, corruzioni, crack finanziari e... morsi alla mela

Davvero, sul fronte degli scandali, furti, truffe, approfittamenti, episodi di corruzione e altre iatture similari, sembra muoversi e avanzare inarrestabile una sorta d’onda lunga senza limiti, nel senso che neppure la distanza fra i due poli dell’asse terrestre è bastevole a contenere le sue dimensioni.
 
Nessuna voglia o intento di spargere qualunquismo, la spaventosa sequenza di casi e realtà concrete del genere sta a portata di mano, anzi proprio sulla punta delle dita, senza bisogno di andare troppo lontano nel tempo.
 
La scansione più recente reca il titolo “presunto maxi riciclaggio di circa 2 miliardi d’euro”, ossia 3.874 miliardi delle cessate lire.
 
Di primo acchito, salvo beninteso accertamenti definitivi e inoppugnabili, al cospetto di tanto ben di Dio o mal del diavolo, si può avvertire unicamente un senso di sgomento.
 
In paragone numerico, finisce col ridursi ad acquetta, ad una facezia, la portata del tristemente famoso crack del Banco Ambrosiano, sui cui conti risultò gravare un buco finanziario di “appena” 1200 miliardi.
 
E una pillola d’analgesico lo sboom della Banca Privata Italiana del satanico Michele Sindona, in cui finirono in fumo 268 miliardi.
 
A andando ancora avanti, si avvertono come meno che un punto e virgola i 10 miliardi che l’inglese avvocato Mills si sarebbe illecitamente “trattenuto” dal Gruppo Fininvest.
 
Purtroppo, la sensazione è che, in giro, con vorticosa progressività man mano che si sale ai “piani alti”, imperversi attualmente la moda o, in sintonia con altre tristi cronache, la droga del mordere la mela giorno e notte, dello spingersi oltre, scavalcando confini e barriere morali e materiali, ventiquattro ore su ventiquattro.
Certamente, anche il mitico Paride “morse” idealmente la mela, con la conseguenza, da un lato, di conquistarsi in cambio l’amore di Elena, la donna più bella del mondo, dall’altro, però, di indurre il di lei marito Menelao alla vendetta, con lo scatenamento della guerra di Troia.
 
Ma, intorno all’oggi, si è arrivati a spingersi di gran lunga più oltre.
A questo punto, autentico paradosso esistenziale e di costume, ecco riecheggiare, intrisi essenzialmente di contenuto simbolico, i versi in gergo dialettale che le contadine erano solite intonare curve sotto il sole nel lavoro dei campi:
“Quannu lu ceddrù, pizzica la puma, la ucca se la sente zzuccarata”(in italiano “ogni volta che l’uccellino dà un piccolo morso alla mela, si sente la bocca zuccherata”.
 
Come è agevolmente osservabile, nel verso anzidetto il motore dell’azione è rappresentato dal minuscolo becco di un piumato, passero o pettirosso o storno, che, mosso dal naturale bisogno di sostentarsi, genera anche un “godimento” dolce al palato.
 
Al contrario, a volteggiare e a far man bassa dei frutti e delle messi dei campi contemporanei, si muovono fraudolentemente immense e insaziabili fauci. La qual cosa, a parte i nefasti effetti d’altro ordine che viene a provocare, è triste e disarmante per ogni animo comune.

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