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Scacco alla dignità della Res Publica

L’ennesima visita del premier libico ha messo in evidenza, oltre a seri problemi di natura umanitaria, che nella politica, da qualche anno a questa parte, l’aggettivo “pubblico” stride e fa a pugni con un altro aggettivo in certo qual modo opposto, “privato”. La storia ha sempre insegnato che è cosa saggia far sì che la sfera pubblica e la sfera privata convivano insieme, ma in due ambiti complementari l’uno dell’altro e con la subordinazione dell’ultima alla prima.

Qualora non fosse così, si potrebbero venire a creare situazioni di attrito e poi di aperto scontro per gravi, anzi gravissimi conflitti d’interessi.

Mentre la gente che non s’interessa di politica è presa dai circhi mediatici e trastulli di varia natura, che in questi ultimi anni vanno avanti ad oltranza, ignorando quali interessi economico - lobbistici muove la casta, il potere gioca in continuazione le sue carte e paga i suoi tributi ai lauti benefattori della res privata prostituendo e umiliando la Res Publica.
 
Quello che si è consumato a Roma nei giorni scorsi non è solo la prova che i nostri governanti-imprenditori pur di avere soldi nelle casse delle loro aziende sarebbero disposti a trasformare i luoghi simbolo della Repubblica in un bivacco di manipoli berberi, ma soprattutto che del prestigio della Nazione e della dignità del suo popolo non gliene frega nulla.
 
E mentre un dittatorello - non un presidente eletto democraticamente - viene accolto con tutti gli onori da uno Stato democratico e sfregia in siffatto modo le istituzioni del Paese che nonostante tutto ha fatto ammenda dei propri errori coloniali, l’Italia, quella che pensa, si chiede come si possa cadere veramente così in basso.
 
Quello a cui abbiamo assistito qualche settimana fa ha fatto sicuramente rivoltare nella tomba i padri fondatori di questa nazione e i costruttori della Repubblica.
 
Un’altra Italia però, quella degli attenti osservatori, in verità la risposta l’ha già trovata.
 
Vale la pena ribadirlo.
 
Il colonnello Muhammar Gheddafi è venuto in Italia con il duplice scopo di consolidare il proprio consenso in patria da un lato, per trovare lauti investimenti ai capitali libici da un altro. Il ministro Franco Frattini ha dichiarato che “Chi critica non conosce politica e interessi d’Italia”.
 
Una cosa è certa, che l’economia imponga certi sacrifici, questa è cosa ben nota, ma arrivare a tanto, ha del grottesco e della più becera diplomazia che un paese della UE abbia mai avuto dopo l’era nazi-fascista.
 
Il dittatore libico ha in primis usato lo zimbello “Italia” per amplificare il suo consenso in patria. Infatti, come Gad Lerner ha fatto notare nei giorni scorsi a riguardo della predica alle hostess:
 
“La religione, com’è ovvio, non c’entra nulla. Nessun buon musulmano prende sul serio Gheddafi, né il suo appello alla conversione islamica dell’Europa. Se … fosse mosso da intenti di proselitismo, … non si sarebbe rivolto a un’agenzia di hostess precisando che servivano signorine bella presenza, provocanti ma non troppo, secondo il gusto maghrebino. C’entra invece, eccome, il bisogno di dimostrare che la grazia e la sensualità possono essere comprate col denaro. Il dittatore libico si rivolge al suo popolo prospettandogli la meraviglia delle belle donne da marito di cui l’Italia è percepita anche laggiù come il giacimento. Lui può permettersele, i suoi sudditi vedremo.”
 
Pensava di esibire un certo machismo mediorientale, ma alla fine quello che è emerso rassomiglia - dico: rassomiglia - più all’esibizione di un Harem di 500 escort a pagamento.
 
Che schifo! Però il colonnello la lezione da qualcuno sembra averla imparata bene!
 
Le elettrici del Pdl - specialmente le più ardite femministe tra queste - possono ora ringraziare il loro premier per l’ennesima umiliazione della dignità della donna!
 
In secondo luogo c’è da puntualizzare che dietro l’affiatata coppia Gheddafi - Berlusconi ci sono affari per un valore di circa 40 miliardi di euro e che grazie a questa intesa il cavaliere è riuscito a consolidare il suo primato nei salotti dell’alta finanza italiana. Quest’ultima è interessatissima ai capitali libici.
 
Tutti i grandi nomi della Finanza, tra cui UniCredit, Generali, Telecom, Terna, Finmeccanica, Impregilo, Eni e altri sono tutti direttamente interessati agli accordi commerciali con il leader libico.
 
È paradigmatico di tutto ciò il caso UniCredit: il leader libico, dalla sua entrata nell’azionariato della banca, è diventato nel suddetto gruppo bancario azionista di maggioranza.
 
Indubbiamente la politica deve favorire in vari modi l’economia favorendo trattati vantaggiosi, ma la domanda che sta alla base della faccenda è questa: tutte queste intese con la Libia favoriscono in qualche modo l’economia italiana tout court, ergo, anche tutti gli italiani o solo una piccola parte tra essi?
 
La risposta purtroppo è che viene favorita solo una piccola parte tra essi, secondo il mio modesto parere. Le suddette aziende, in chiara e legittima ottica di profitto, mirano a inserirsi in altri mercati in piena linea con la politica delle multinazionali.
 
Non s’illudano gli italiani che gli accordi tra Arcore e Tripoli porteranno grandi benefici alla massa tout court, o che i costi delle bollette e dei servizi offerti dalle suddette diminuiscano, anzi è verosimile il contrario e per di più ci sono all’orizzonte nuovi licenziamenti di personale: exempli gratia, UniCredit, in linea con il “morbo di Marchionne”, ha annunciato tra il 2011-13 un taglio di 4700 dipendenti. In costo umano: 4700 potenziali famiglie in una futura situazione di disagio - per non dire in miseria.
 
E Unicredit non è certamente l’unica!
 
E mentre i nostri grandi imprenditori, al cui vertice c’e il nostro Presidente del Consiglio, s’ingozzano di capitali esteri e ampliano i loro potenziali mercati all’estero, in Italia fanno man bassa di licenziamenti facendosi scudo di una crisi che in parte hanno fomentato loro e continuano a fomentare, mentre dall’altro c’è l’uomo di Provvidenza che dice che la crisi è stata un’invenzione dei pessimisti, in più si prospetta anche una maggiore evasione fiscale legalizzata tramite nuove aziende offshore.
 
In tutto ciò, emerge solo una cosa: altro che bene della nazione e del suo popolo, bensì beni e profitto per la casta politico-dinastico-lobbistica.
 
Il trionfo della res privata a scapito della Res publica: ecco il vero scacco alla dignità della Repubblica.
 
In più, in tutto questo c’è il trionfo di un’ipocrisia tutta italiana.
 
Gli accordi Italia – Libia hanno visto il presunto calo degli sbarchi di clandestini, ma dall’altra parte del Mediterraneo ci sono stati veri e propri delitti contro gente disperata e inerme, con migranti reclusi, torturati, seviziati, talvolta abbandonati a morire nel deserto con buona pace di tutti - come un servizio di Fabrizio Gatti sull’Espresso ha dimostrato.
 
Un’immane vergogna che pesa sulle spalle di nostri funzionari incravattati che amano rifarsi alle radici cristiane dell’Europa e che fanno sfoggio della loro pietas quando vanno ai funerali dei caduti, ma che tollerano per amor di tasca che un losco dittatore offenda pubblicamente davanti a tutto il mondo la loro tanta declamata fides e che sia lui a macchiarsi di sangue innocente pur di non risolvere il problema in altro umano e cristiano modo.
 
Nessuno ricorda - gli italiani hanno memoria corta, è cosa risaputa! - quando nella seconda metà degli anni novanta l’attuale premier italiano, allora all’opposizione, tentò di commuovere l’elettorato cristiano, piangendo in televisione, opponendosi ai respingimenti degli albanesi operati dall’allora governo Prodi-D’Alema; un evento questo che stride e fa a pugni con i delitti operati dalle autorità libiche ai danni di migranti disperati, fatti legittimati e indirettamente scatenati dagli accordi Italia-Libia; fatti su cui il caro Silvio non ha detto un bel niente né risulta che abbia in questa carnevalata trovato occasione per farsi un pianterello a riguardo dei fattacci libici davanti a Gheddafi.
 
Altro ed ennesimo scacco alla dignità della Nazione, ma una dignità che buona parte dei nostri politicanti hanno chiaramente, a parer mio, perso!
 
Nota dolente e tragica in tutto questo è che tutto ciò che è pubblico sembra, grazie a siffatta masnada di individui, destinato al declino, mentre l’esiguo settore privato a loro ascritto si arricchisce a danno ed onta della collettività senza che nessuno li fermi.

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