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Salvare l’Italia dei Beni Culturali

L’Italia ha un Capitale, come argutamente non manca di far notare Philippe Daverio in ogni possibile occasione, nei beni culturali che gran parte degli italiani, politici e amministratori del bene pubblico in prima fila, lo ignorano, se non addirittura disdegnano, rendendo la loro fruibilità difficile, soffocandoli con un’urbanizzazione intensiva e sconsiderata, abbandonandoli e nell’incuria.
Ma non ne hanno alcuna colpa se non sono stati educati al rispetto di questo incommensurabile patrimonio, senza neanche percepirne il loro grande valore e le potenzialità per una crescita economica senza sconvolgere l’ambiente.
 
L’Italia ha, come ogni paese civile, numerose organizzazioni che si sono attribuite il compito di vigilare sulle scelte che di volta in volta le amministrazioni locali e il governo centrale intraprendono nei suoi del nostro patrimonio. Scelte che spesso non sono atte a promuoverlo per poterlo convertire da manufatto sprofondato nell’immondizia, a fonte di redito per la comunità, senza deturpare l’ambiente e inquinare l’aria.
 
Organizzazioni come l’Unesco, nella sua sempre più sonnacchiosa presenza italiana, dovrebbero essere in prima linea, con Italia Nostra o Fai (Fondo per l’Ambiente Italiano), nel sorvegliare non solo il patrimonio classificato “bene dell’umanità”, ma anche le realtà meno eclatanti, testimonianze di una diversità culturale e non solo ambientale.
 
L’Unesco, come le altre organizzazioni in Italia, appare limitato, con le loro curiose intersecazioni tra istituzioni, nella sua attività, seguendo le proposte dalla sede centrale parigina, con le diverse Giornate Mondiali per la poesia o magari per il jazz. L’inventiva della sezione italiana dell’Unesco, negli uffici abbarbicati nel sottotetto di Palazzo Firenze di Roma, viene influenzata dal continuo ridimensionamenti dei contributi elargiti dal Ministero degli affari esteri, cercando di dare segnali di vita con l’esposizione fotografica, nel palazzo dell’Onu a Ginevra, dedicata ai siti italiani. Una mostra sui 47 siti “protetti” dall’Unesco in Italia, dei 936 presenti in 153 Nazioni del mondo, e proposti, tra aprile e gli inizi di maggio di quest’anno, all’attenzione della selezionata frequentazione del palazzo ginevrino, mancando l’occasione di promuovere il patrimonio italiano ad un più vasto pubblico.
 
Nonostante il poco personale e pochi i fondi a disposizione, situazione che compromette l’immagine dell’istituzione, riuscendo a presentare progetti legati all’ambiente, e non sempre nell’ambito nazionale, come Symbios, insieme al contributo della Commissione stessa alla Giornata mondiale dell’Alimentazione promossa dalla FAO, per rintrodurre la coltivazione delle leguminose, offrendo una possibilità alla crisi alimentare mondiale. O al progetto dedicato al Delta del Po, per salvaguardare la biodiversità, con la gestione che superi gli ambiti comunali di un territorio che coinvolge l’Emilia e il Veneto, per il suo sviluppo sostenibile.
 
Anche la rappresentanza dell’Unesco all’interno del Ministero per i beni e le attività culturali non sembra molto interessata al patrimonio artistico, mentre l’Associazione Città Italiane Patrimonio Mondiale Unesco, sparsa tra Ferrara, Assisi e Firenze, si presenta su Internet con una vetrina di luoghi e con una rivista, ma iniziative di sensibilizzazione verso le istituzioni?
 
Un’altra vetrina sulle mancanze verso i beni culturali è rappresentata dal sito web PatrimonioSos, offrendo riflessioni sulle proposte di legge e sugli interventi degli organi d’informazione.
 
Il Fai, come Italia Nostra, hanno le potenzialità per essere delle “lobby” ambientaliste, come anche Legambiente o il Wwf, per sensibilizzare i politici e stimolare le istituzioni, oltre a educare gli studenti al rispetto, verso la cura del patrimonio, invece di chiedere continuamente agli italiani di contribuire, in un periodo di crisi, economicamente.
 
Per quale motivo gli italiani di ogni ceto e religione deve contribuire, come nelle campagne di raccolta promosse dalla Fondazione CittàItalia, alla conservazione e al restauro del patrimonio, come nella recentemente restituzione alla vista del pubblico Galleria Corsini di Roma del Trittico Giudizio Universale del Beato Angelico, quando ci sono gli organi preposti? Basterebbe offrire sulla dichiarazione dei rediti il 5xmille. Il cittadino può vigilare sulle iniziative o l’incuria che la politica pratica verso il bene comune.
 
Il Fai non può sentirsi soddisfatta per la gestione del Parco Villa Gregoriana a Tivoli, dovrebbe tirare le orecchie all’Amministrazione locale per lo squallore in cui versa la viabilità e la cartellonistica, capace di confondere i viaggiatori del Grand tour di ieri come quelli odierni. Le amministrazioni locali sono tanto miopi sulla ricchezza del territorio da gestire, da aggiungere allo squallore urbanistico una discarica organizzata, in località Corcolle, a meno di un chilometro dalla villa di Adriano.
 
Le formazioni ambientaliste in Italia non hanno avuto mai grande vitalità, come unico soggetto politico, preferendo la sicurezza all’interno dei diversi partiti, ma in questi ultimi mesi si sono alternati sulla ribalta mediatica una serie d’iniziative filosofiche propositive. Ha iniziato il Sole 24 Ore, supplemento domenicale, con il Manifesto che ha occupato varie edizioni del quotidiano della Confindustria, per ribadire che senza cultura non può esserci sviluppo, offrendo un’altra visione di una cultura non commestibile, proposta da alcuni commercialeconomisti, per rifondare il mercato del profitto sull’industria culturale, con il rischio di trasformare il patrimonio storico e artistico italiano in una disneyland nostrana. Un esempio è un Parco tematico su Roma Antica, proposta dall’emiro del Qatar e avallata dall’amministrazione capitolina, ampliando la visione dell’ex ministro dei Beni culturali Alberto Ronchey, codificata nella legge 4/1993, con l’affidamento ai privati della gestione dei servizi aggiuntivi (libreria, biglietteria, organizzazione di mostre, attività editoriale, merchandising, attività didattica) nei musei dei siti archeologici, aprendo ad una privatizzazione selvaggia per una cultura commestibile, aperta al Mercato e al Profitto. Uno dei primi firmatari è il docente universitario e Andrea Carandini, chiamato nel 2009 a sostituire il meno malleabile Stefano Settis, alla presidente del Consiglio superiore dei beni culturali.
 
Un Manifesto, quello proposto dal Sole 24 Ore, adottato da alcuni sindaci (L'Aquila, Genova, Palermo, Galatina, Castrocaro Terme) per i loro programmi elettorali, convinti che la cultura sia la leva per rilanciare l'economia locale.
 
Gli Scrittori Generazione Tq (trenta quaranta), con il loro Manifesto, rifiutano la teorizzazione promossa dal Sole 24 Ore, non credendo all’imperante ed esclusiva priorità nel saziare il corpo, escludendo lo spirito, per evidenziare una visione romantica della presenza culturale sul patrio suolo.
 
Tra la visione miope di molti politici di una cultura che non si mangia, ma neppure un prodotto da sfruttare o semplicemente da contemplare, si è inserita nel dibattito Alba (Alleanza lavoro benicomuni ambiente), un nuovo soggetto “politico” promosso, a Firenze, da un gruppo di intellettuali e di professori, diversi da quelli governativi, per coniugare il patrimonio culturale e lo sviluppo economico, magari esplorando gli ambiti di un turismo culturale sostenibile, per uno sviluppo a misura del territorio. Abituarsi alla pratica del chilometro 0, non potendo far a meno dell’agricoltura, è una possibilità di sviluppo per il territorio nel quale si vive, come i gruppi d’acquisto o la produzione di energia rinnovabile e la valorizzazione, comunitaria, delle ricchezze artistiche del luogo. Non esistono solo le industrie, come fonte di sostentamento, ma anche la conservazione delle tante testimonianze lasciate dai predecessori per lo sviluppo del territorio nell’ambito del turismo culturale e non solo del sollazzo.
 
Alba può diventare un gruppo di pressione, ponendo i beni comuni al centro e magari per presentarsi in prima persona al giudizio dell’elettorato.
 
Uno spunto di aggregazione per un elettorato che non si ritrova nell’attuale panorama politico e già viene corteggiato dalle diverse anime della sinistra, forse stimolate dalle pregiudiziali antiliberiste, corresponsabile dell’attuale situazione, di Alba, e cercando di ingabbiare la riflessione di Guido Viale sulla riconversione ecologica dell’economia e sulla comune partecipazione della gestione del territorio.
 
Firenze ha ospitato, a fine maggio, la nona edizione di Terra Futura, dedicata alle buone pratiche di sostenibilità ambientale, economica e sociale, preceduta dalla prima edizione Art&Tourism, dedicata al Turismo Culturale.
 
Contribuirà alla sensibilizzazione, per uno sviluppo economico del territorio, la campagna che ha intrapreso il Tg2 Rai in maggio, nell’edizione delle 13 del lunedì, martedì e mercoledì, per far conoscere 12 luoghi, monumenti ed edifici, sparsi dal nord a sud, dimenticati della storia e delle bellezze dell’Italia, da far uscire dall’oblio del degrado di improvvisate discariche o ingabbiati da recensioni fatiscenti, per far conoscere le bellezze dimenticate.
 
Il degrado di un monumento non è solo rappresentato dai rifiuti che lo soffocano o dal vandalismo, ma anche dalla mancanza di servizi informativi e ricettivi. Essere monumento inserito nell’elenco dei siti indicati dall’Unesco come Patrimoni dell’Umanità, non li salvaguardano dal degrado, come dimostra il caso di Villa Adriana e il problema discarica o il sito archeologico di Paestum (Salerno), compreso nel Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, insieme a Velia e la Certosa di Padula, con una stazione ferroviaria realizzata nel 1936, in occasione della visita al sito dell'antica poseidonia di Benito Mussolini e del Re, e “funzionante” senza personale, abbandonata dai servizi pubblici e dai taxi.
 
Una situazione simile la troviamo sulla linea ferroviaria Roma – Ostia, con una stazione “fantasma” al sito archeologico di Ostia Antica che da anni attende la sua formalizzazione di stazione con i servizi adeguati ad un luogo d’interesse turistico.

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