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Ritornare al 25 Aprile con intatta fede e, stavolta, con buona memoria

Non ci serve una storia condivisa, se per averla dobbiamo negare i valori su cui abbiamo costruito la Repubblica, ma, per certo, ci serve una storia diversa da quella che ci siamo raccontati fino ad ora se vogliamo compiere la democrazia che ci siamo promessi.

Il primo punto che dobbiamo chiarirci è che, a parte mio nonno e il nonno di chi mi legge, siamo stati tutti fascisti; che nel 1936, perlomeno, dopo la conquista dell’Etiopia, in Italia di antifascisti non ne erano rimasti e in preda ai dubbi erano anche quei pochi che erano fuggiti all’estero.

Il successo del fascismo ci apparirà allora come risultato di in qualunquismo, di una capacità di schierarci sempre con il vincitore, che non è certo caratteristica solo italiana, ma che nel nostro paese non ha mai provocato alcuna seria riflessione.

Abbiamo preferito nasconderci dietro il mito resistenziale, raccontarci la menzogna che fu di tutti quel che era stato di pochissimi, e non ci siamo guardati allo specchio, né come individui, né come società; abbiamo preferito stare con Croce, raccontarci che i fascisti erano degli invasori, e non abbiamo accettato quel che ci diceva Gobetti: che il fascismo era la nostra autobiografia e che i fascisti eravamo noi.

Noi, incapaci di essere cittadini e di caricarci sulle spalle lo zaino dei doveri che essere cittadino comporta; noi che anziché rivendicare diritti abbiamo sempre preferito mendicare favori.

E’ così che si spiega il 60 o 70 per cento d’approvazione raggiunto dal nuovo duce, solo due anni fa, nonostante la risibile qualità, evidente a chiunque non volesse chiudere gli occhi apposta, dei ministri del suo governo.

E’ dimenticando le lezioni della nostra storia, proprio perché non le abbiamo mai davvero studiate, che abbiamo di nuovo creduto nell’uomo del destino capace con tocco di bacchetta magica di risolvere i nostri problemi; a qualcuno, soprattutto, che avrebbe fatto pagare il prezzo del malgoverno in cui ci siamo crogiolati per un trentennio agli altri italiani, ma non a noi.

Fu l’italia plebea (non povera, che è cosa diversa) ad essere fascista e lo fu fino a che ebbe l’illusione di poter ottenere qualcosa da quel regime; è la stessa Italia, quella che fu poi democristiana, pentapartitica, ma anche comunista dove quel partito era abbarbicato al potere, quella che fino ad ieri era berlusconiana e, basta ascoltare i nostri conoscenti che di esser stati berlusconiani già non si ricordano, oggi si sta preparando a cambiare casacca.

I nuovi partigiani del 26 aprile sono già pronti a venir fuori dai loro nascondigli, ma è inutile contare sul loro aiuto per cambiare lo stato delle cose: sono gli eterni profittatori e non agiscono; reagiscono, ma a cose fatte, e solo nel proprio personale interesse.

Non dobbiamo però scoraggiarci, anche se fino a ieri eravamo in pochissimi e oggi sembriamo ancora in pochi.

Pensiamo a quel che riuscirono a fare, quei pochi aristocratici che in montagna ci andarono per davvero (erano un ventina, per capirci, provenienti da due province, i partigiani che operavano nella zona del Mortirolo nell’inverno 44-45; pochi mesi dopo e da quelle parti, come nel resto d'Italia, sarebbero stati partigiani tutti ) e manteniamo intatta la nostra fede.

Loro ce la fecero , quasi, ad ottenere quel che volevano; noi che siamo in condizioni infinitamente migliori, siamo certo più numerosi e nessuno ci spara, abbiamo tutto quel che serve per portare a termine il loro progetto.

Ci servono solo un po’ di coraggio e, stavolta, tanta memoria.

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