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Ricordando Ryszard Kapuscinsky

Due anni fa incontravo a Roma Ryszard Kapuscinski, uno dei più grandi reporter e scrittori del secondo dopoguerra. Pochi mesi dopo Kapuscinski moriva. Ritrovo il testo di quell’intervista e lo ripropongo.

"Mi ricordo perfettamente le persone, i loro volti, non tanto quello che dicevano". In questa affermazione c’è tutto il lavoro, lo stile di racconto, la vita di Ryszard Kapuscinski, considerato forse uno dei più grandi giornalisti del ’900, autore di reportage, scrittore, poeta. Il giornalista polacco, a Roma per presentare una sua raccolta di poesie recentemente tradotte nel nostro paese e per una mostra del suo lavoro fotografico in Africa, negli ultimi anni è stato riscoperto anche in Italia grazie alla pubblicazione di una serie di raccolte dei suoi articoli più famosi scritti in 50 anni di carriera.

Nato nell’area più povera della Polonia a Pinsk (oggi Bielorussia) nel 1932 , Kapuscinski ha trascorso gran parte della sua vita fuori dal suo paese, in particolare in Africa e Asia, realizzando una lunghissima serie di reportage che sono alla base del sua fama: racconti di viaggio e di eventi visti non tanto attraverso il racconto dei protagonisti, quanto attraverso lo sguardo dei più deboli, delle popolazioni povere, della gente qualunque. È stato testimone di eventi terribili e di trasformazioni epocali come la fine del colonialismo in Africa e in India, la rivoluzione islamica in Iran, le guerre nel sud-est asiatico e la nascita di Solidarnosc, movimento con il quale ha solidarizzato rimanendone comunque esterno.

Ed è proprio da questo punto di vista, obliquo, laterale, che dal giornalismo, dal reportage, l’autore polacco lentamente si è ritrovato poeta, trasformando il suo racconto, la sua testimonianza, in arte.
"Ci sono diversi tipi di giornalismo, e in alcuni tipi di giornalismo trova spazio la poesia – racconta Kapuscinski – Esiste ad esempio il giornalismo informativo: quello che parla di un capo di stato che ne incontra un altro e qui non c’è poesia. E invece esiste un tipo di giornalismo e di reportage che è molto vicino alla letteratura. Nel giornalismo italiano ad esempio ci sono stati molti reporter che hanno scritto in maniera letteraria, mi viene in mente Curzio Malaparte, i cui libri erano vicini, attraverso moltissimi frammenti, alla poesia. E allo stesso tempo mi viene in mente anche il grande reporter recentemente scomparso Terziano Terziani, le cui tante pagine possono essere lette come altrettante poesie."

Il rapporto fra letteratura e giornalismo per Kapuscinski è molto stretto, una è legata all’altra come del resto il processo creativo e di scrittura di un testo poetico e di un reportage per lo scrittore polacco sono spesso corrispondenti e in districabili.


"Viviamo nell’epoca delle sfumature, dei confini indistinti fra diversi generi letterari e sempre più spesso ci imbattiamo in libri che è difficile definire, e tante pagine sono intrise di poesia. E anche la poesia approfitta, utilizza, l’esperienza di un reporter. Leggiamo poesia per molti motivi, per me è un grande tesoro, è la massima espressione del linguaggio e finché vivrà la poesia vivrà la lingua in cui è stata scritta, e quando sarà morta la poesia sarà morta anche la letteratura, quando sarà morta la letteratura morirà anche la cultura. Ed è per questo che è così importante che la letteratura esista e si continui a leggerla. Scrivere è sempre un mistero, un mistero che non si è mai capaci di definire, perché non sappiamo mai come nasce, come si forma, un’immagine letteraria. Sappiamo soltanto che quando compare una certa immagine compare contemporaneamente un sentimento, una certa emozione. Ma da dove venga e come si sia cristallizzata una determinata immagine non sappiamo definirlo: noi siamo capaci di indicare quel momento, non sappiamo indicare la fonte".

Il legame con la cultura italiana e mediterranea per Kupuscinski è estremamente forte, un legame non solo basato sulla lettura di autori dell’Europa meridionale, ma anche su una frequentazione dei luoghi e delle lingue del Mediterraneo. "La poesia italiana ha un ruolo molto importante nella nostra poesia, e in particolare nel mio linguaggio: Ungaretti, Quasimodo, Montale, Saba continuano ad ispirare i nostri poeti. Grazie a queste relazioni, a questi legami, esiste una comunità di persone che tenta di descrivere il mondo. E’ importante ricordarci che esiste quello che possiamo chiamare lo spirito del Mare Mediterraneo, una cultura che ha attraversato e condizionato l’intera Europa attraverso un processo e una comunità culturale unica; le onde e i raggi di questo mondo arrivano fino al nord, alla Polonia, inglobandola in questa comunità".

È comunque il lavoro del reporter che condiziona e ha condizionato l’intera vita, anche privata, e l’intera produzione letteraria di Kapuscinski. "Spesso la vita di un reporter è molto difficile – racconta Kapuscinski – Tutti i reporter, non soltanto io, dobbiamo scegliere in ogni momento della vita se essere testimoni o partecipi, e non esiste una via di uscita ideale da questa strettoia. Spesso tutto viene compromesso dal lavoro che si fa. Per fare un esempio un fotoreporter si trova molto spesso davanti a situazioni drammatiche. Per fare un buono scatto, per informare, per documentare, bisogna fare delle scelte.
 
C’è un’immagine che ha fatto il giro di tutti i giornali del mondo: l’ha fotografata un mio amico in Africa in Sudan: lui si è trovato davanti a un bambino che stava agonizzando, morendo di fame, sdraiato a terra, e alcuni avvoltoi pensandolo già morto lo stavano beccando. Lui si è trovato davanti due scelte: intervenire e allontanare gli avvoltoi e tardare di qualche minuto la fine del bambino o fare quello scatto. Non esiste un buona via di uscita da una situazione del genere. Allo stesso modo pensate alla famosa immagine del ragazzo che ferma i carri armati durante la rivolta degli studenti in Cina. Quella foto l’ha scattata un uomo che poteva scegliere di correre e spingere via quel ragazzo, convincerlo ad andarsene, ma non l’ha fatto. Quella foto è diventata un simbolo, una testimonianza, una denuncia unica. Ma cosa è successo a quel ragazzo? Non esiste una scelta buona. A volte dobbiamo prendere delle decisioni in un attimo".

Il giornalista e scrittore polacco è stato anche testimone di una delle rivoluzioni più significative, e che ancora condizionano la politica internazionale: la rivoluzione iraniana. Ed è in quella occasione che ha conosciuto anche Oriana Fallaci. Ed è da questa conoscenza, e dalle profonde differenze fra i loro rispettivi modi di fare giornalismo, che Kapuscinski cerca di descrivere la sua anomalia, il suo cercare di essere testimone e osservatore senza essere parte, senza "aggredire" la notizia. "Ho incontrato Oriana a Teheran durante la rivoluzione, quando è arrivata per fare l’intervista a Khomeini. Io e lei abbiamo rappresentato stili diametralmente opposti nel giornalismo.
 
Il suo genere principale è stato l’intervista, e in particolare con personaggi famosi della politica, per quanto riguarda me nella mia vita non ho mai fatto alcuna intervista. Oriana Fallaci aveva un atteggiamento molto attivo, attaccava, era dinamica, io invece sono passivo, preferisco aspettare se c’è qualcuno che vuole dirmi qualcosa o no, non faccio mai domande, aspetto solo il momento che qualcuno si apra, se vorrà. Sono due stili che non si incontrano per nulla, ma nel mondo del giornalismo è giusto che ci siano stili diversi. Si tratta della volontà di raggiungere la verità, e la verità non è mai raggiungibile, ma possiamo soltanto avvicinarci ad essa, e anche se vengono usati diversi stili o metodi l’importante è il risultato. Oriana Fallaci è stata sicuramente una delle giornaliste più famose del XX secolo, anche se possiamo sentirci assolutamente distanti dai suoi ultimi libri e dichiarazioni pubbliche".
Scheda autore

Ryszard Kapuscinski nacque a Pinsk, nella Polonia orientale (poi divenuta Bielorussia) nel 1932. Dopo gli studi a Varsavia, ha lavorato fino al 1981 come corrispondente estero dell’agenzia di stampa polacca PAP. Nel 1980 porta la propria solidarietà agli operai dei cantieri navali di Danzica in sciopero.

E’ stato autore di numerosi libri-reportage che lo hanno reso famoso. Si ricordano: La prima guerra del football e altre guerre di poveri (Wojna futbolowa, 1978; in Italia: 1990 presso Serra & Riva, 2002 presso Feltrinelli), Il Negus : splendore e miserie di un autocrate (1983), Imperium (1994), Lapidarium : in viaggio tra i frammenti della storia (1997), Ebano (2000). Shah-in-shah (Szachinszach, 1982; in Italia: 2001 presso Feltrinelli) è il resoconto della permanenza di Kapuscinski in Iran, negli anni della fine della monarchia sanguinaria di Reza Palevi e l’avvento del totalitarismo religioso di Khomeini. Viaggi con Erodoto (pubblicato in Polonia nel 2004) è una rilettura autobiografica alla luce degli scritti storici di Erodoto.

Negli anni Ottanta e Novanta si dedica alla poesia e alla riflessione. inizia con la raccolta poetica Notes (1986), e continua con la serie di cinque volumi di Lapidarium iniziata nel 1990 e proseguita tra il 1995 e il 2002. Nel 2004 è Taccuino d’appunti (edito in Italia presso Forum / Editrice universitaria udinese) che raccoglie Notes e Appunti nuovi.

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Autore

Pietro Orsatti

Pietro Orsatti

Scrittore, regista, giornalista e autore teatrale. Ha lavorato per numerose testate giornalistiche italiane e estere. Ha lavorato presso il gruppo parlamentare verde e in associazioni ambientaliste come Legambiente e Friends of the Earth. Ha realizzato progetti web e campagne per ActionAid, ANCI, Un ponte per…, Ricerca e Cooperazione. Impegnato per anni come collaboratore e redattore di (...)

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