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Residui di diplomazia nixoniana? Il caso Burkina Faso

Il 31 ottobre 2014 a seguito di manifestazioni di piazza il presidente Compaoré del Burkina Fasu è fuggito in Costa D’Avorio aprendo ad una fase di “transizione” che nei fatti risulta essere un colpo di stato.

Dopo 27 anni di governo il Presidente, che aveva preso il potere nel 1987, uccidendo il suo predecessore, il carismatico Che Guevara africano Thomas Sankara, cede a sua volta il posto e contribuisce al persistere di un meccanismo di violenza nel passaggio di potere che caratterizza i Paesi più poveri dell’Africa. 
 
Excursus storico 
 
Il 5 agosto 1960 l’Alto Volta dichiara l’indipendenza dalla Francia e diviene una Repubblica con a capo il Presidente Maurice Yaméogo. Con una superficie pari al 90% di quella italiana e una densità di popolazione di molto inferiore (1/4 rispetto all’Italia), il Paese ha dovuto affrontare tutti i problemi tipici delle democrazie nascenti nel continente africano, quali l’instabilità politica, la corruzione, la povertà, l’analfabetizzazione ecc…
 
In più di mezzo secolo si sono susseguite due principali fasi e ad oggi Ouagadougou non è uscita dalla logica del sotto sviluppo e della violenza politica. Ad una prima fase di instabilità che è durata circa 30 anni ed è culminata con l’assassinio di Thomas Sankara, il militare marxista che tentò di portare il Paese ad una svolta, è susseguita la lunga fase Compaoré, che si è tradotta in un trentennio di stabilità antidemocratica e violenta. 
 
La rivalsa di Sankara, che sognava e credeva nella terra che battezzò “degli uomini integri” (significato di Burkina Faso) e lavorò instancabilmente per dare dignità al Paese di fronte alla logica di potenza economica e culturale dell’ Occidente, finì nel sangue. Autore della sua morte fu lo stesso Compaoré. 
 
Tra le riforme più importanti di Sankara vanno ricordate la lotta all’AIDS, il divieto dell’infibulazione, l’abolizione della poligamia, la lotta ai privilegi politici e militari, lo sforzo per emancipare il Paese dal pesante legame debitorio con l’Occidente. Uno statista a tutto tondo che però confliggeva con interessi dell’imperialismo americano ormai dominante, se si pensa che solo tre anni dopo sarebbe finita la Guerra Fredda.
 
Contesto geopolitico 
 
Compaoré è risultata una figura più accomodante di fronte all’Europa e agli Stati Uniti, e forse deve anche allo stretto legame con Washington e Parigi la sua lunga permanenza al potere. Il Paese è inserito nella regione turbolenta dell’Africa Occidentale. Tuttavia l’unico evento bellico rilevante in cui è stato coinvolto è stata “la guerra di Natale” contro il Mali, nel 1985, a causa di una disputa di confine (per la striscia di Agacher) terminata con accordo raggiunto grazie alla mediazione della Costa D’avorio.
 
Viste le molteplici tensioni sociali e politico-religiose della regione risulta indubbia la forza strategica del Burkina Faso per una efficace politica Occidentale contro la minaccia terroristica di Boko Haram, le emergenze sanitarie come l’ebola, e gli squilibri politici.
 
Quadro attuale e valutazioni
 
Gli attori dell’attuale svolta sono molteplici e provengono tutti dalle fila dell’esercito; il quadro appare inficiato da trame interne e pressioni (anche) esterne che rendono il tutto avvolto in una fitta nebbia.
I tre principali eventi del 31 ottobre sono: il capo di Stato maggiore Nabèrè Honorè Traorè annuncia aperta la transizione, il Presidente dall’estero dichiara che continuerà a governare per ancora un anno (fino alla fine della transizione), l’opposizione protesta e scoppiano scontri di piazza, con il sostegno di una parte dei militari.
 
Il giorno successivo ancora un colpo di scena con l’arrivo del tenente colonnello Zida che dichiara nulla l’auto-proclamazione di Traoré a Presidente e viene lui stesso nominato all’unanimità dai vertici militari alla guida della transizione. 
 
All’analisi dei fatti diversi elementi fanno sorgere sospetti. Primo, l’emergere, fra i vari tentativi di auto proclamazione dei vari leader delle opposizioni, proprio del collonnello Zida, formato in antiterrorismo negli Usa e sconosciuto fino a qualche mese fa. Secondo, la tempistica delle manifestazioni. Si tratta di un lontano strascico di quelle pratiche Nixoniane di interferenza sotterranea nella scelta del governo di Paesi strategicamente importanti per gli Usa o di un “dròle diplomatique” classico e “legittimato” dalla comunità internazionale?
 
All’epoca di Nixon il peggiore dei timori era quello di vedere nascere un governo filo comunista nel cortile di casa, come avvenne a Cuba, oggi il terrorismo di matrice islamica ha preso il posto dei movimenti filo marxisti ma resta il problema della legalità e legittimità di imprese del genere, se di questo si tratta. 
 

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