• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Mondo > Geopolitica della questione palestinese

Geopolitica della questione palestinese

Analisi storico-politica della questione Israelo-palestinese e degli eventi ed attori che ne hanno influenzato l'evoluzione fino ad oggi. 

Quali sono gli elementi indispensabili alla risoluzione di una crisi? Quali sono le variabili e i fattori da prendere in considerazione per costruire un modello che indichi la o le vie d’uscita da un’impasse avviluppato nei sentimenti stagni di rassegnazione e rancore ed in un groviglio di nodi di carattere storico, politico, culturale oltre che geografico e religioso, che sono propri del Medio-Oriente?

Perfino il più abile degli alchimisti della geopolitica e della diplomazia si troverebbe in crisi di fronte alla questione israelo-palestinese. La nuova ondata di violenza che ha portato da giugno ad oggi ad una ripresa degli scontri e ad una guerriglia illegale dagli effetti devastanti e ingiustificabili agli occhi della comunità internazionale, ha origine, come è capitato altre volte nella storia, da una fatalità accidentale e casuale. La pentola a pressione mediorientale non poteva reggere il seppur minimo aumento della temperatura provocato dal rapimento dei tre ragazzi israeliani. Così è saltata la valvola di sfiato con un nuovo sfogo violento in armi di fronte al quale la comunità internazionale si è “rapidamente paralizzata” sul da farsi. L’ossimoro riflette quello che è una delle chiavi di volta dell’enigma, ovvero l’incapacità di reazione dell’occidente e non solo. Ma per cercare di meglio comprendere la questione è necessario raccogliere quanti più elementi possibili a delineare il quadro pluridimensionale, multiforme ed evolutivo della situazione.

Quasi cento anni fa il Segretario per gli Affari Esteri Britannico Lord Balfour prometteva una “Jewish National home” in Palestina al nascente movimento Sionista che raccoglieva sempre più consensi tra i maggiori Paesi occidentali. Poi le ondate migratorie, gli scontri locali, la costituzione dello Stato di Israele nel 1948, la guerra di Davide contro Golia, i piani di pace falliti e poi di nuovo la guerra nel 64’, nel 73’ fino alle intifade dell’87’ del 2000. Uno sguardo a volo d’uccello del "secolo breve" (Hobsbawn) che ha aperto ad una situazione di conflitto ancora oggi indeterminata ed indefinita. Caratterizzato da un andamento ondulatorio in cui fattori esterni e contesto internazionale hanno avuto una sensibile influenza. Il picco più alto è stato raggiunto con il processo di Oslo, un tentativo di pacificazione che rifletteva il nuovo contesto internazionale unipolare di cui Washington aveva dimostrato di poter garantire la stabilità e la sicurezza (con la gestione della crisi del golfo e la collaborazione russa). Un clima di distensione che però non durò a lungo e che ben presto fece emergere sul piano internazionale l’incapacità della sola potenza Usa di poter gestire tutte le crisi planetarie che si presentavano (Bosnia, Kosovo, Ruanda ecc…).

In una dinamica evolutiva o involutiva (dipende dai punti di vista) guidata dalle emozioni e dagli umori di due popoli, in cui la ragionevolezza e il pragmatismo hanno a raramente e flebilmente illuminato i tavoli negoziali. Da un lato si ergeva con forza il richiamo ad una indipendenza politico istituzionale in cui l’elemento nazionale, almeno fino alla morte di Nasser, diventava tutt’uno con il panarabismo e confluiva in un più ampio disegno regionale dal quale i fratelli arabi dei paesi limitrofi non potevano tirarsi indietro. Dall’altro lato si elevava la paura dell’accerchiamento che si traduceva in una sindrome xenofoba di cui il risultato è stato la costruzione di una società in armi, roccaforte occidentale in Medio – Oriente, che lo stesso Occidente non avrebbe potuto mai abbandonare a se stessa.

Oggi, nuovi attori ed eventi rendono più caotico ed imprevedibile il contesto internazionale. Da un lato i paesi emergenti fanno capolino e mostrano tutta la loro ambizione ad ottenere un posto di riguardo sulla scena internazionale anche se ancora reticenti a lasciarsi coinvolgere in una più attiva politica multilaterale a garanzia della pace. Dall’altro è entrato con forza il movimento terrorista, anonimo, camaleontico, portatore delle istanze più radicali dell’islam, e dell’antioccidentalismo, quindi nemico della stabilità. Infine va rilevato il ruolo svolto da nuovi attori transnazionali, l’Ue in primis e le altre organizzazioni regionali che mostrano grandi potenzialità me restano ingabbiate in contesti normativi ed istituzionali limitativi. Si sono moltiplicate anche le aree di crisi, in parte residui dell’eredità sovietica, in parte espressione di antiche instabilità locali mescolate ad influenze esterne.

La questione mediorientale non occupa più centralità sul piano internazionale come nel '48, non è più l’ago della bilancia tra due super potenze, e soprattutto non è più espressione delle rivendicazioni di unità del mondo arabo. Il panarabismo è diventato la marmellata che i gruppi radicali offrono al popolo per arrivare al potere ed erigere stati illuminati che sradicano il tessuto sociale, fanno tabula rasa del passato e costruiscono un modello di società fondato sulla violenza e l’oppressione, in competizione piuttosto che in cooperazione con gli altri stati arabi..

Oggi è cambiato anche il profilo dei due attori in gioco. in Palestina, se Abu Mazen ha promosso l’immagine di una classe dirigente di nuova generazione lontana dalle elite corrotte che hanno segnato la degenerazione del processo di Oslo, Hamas ha dimostrato di saper cavalcare l’onda della delusione e della disperazione del popolo palestinese verso Al-fatha, raccogliendo consensi e acquisendo potere di negoziato che Israele si ostina a rinnegare. In Israele la vittoria della destra armata di Netanyahu riflette il ritorno al complesso dell’accerchiamento che trova come unica via d’uscita l’azione armata “preventiva”.

Dopo il fallimento dell’ONU ed il tramonto di “Oslo”, la gestione della caleidoscopica e complessa situazione è stata affidata al quartetto composto da ONU, Ue, USA e Russia che non sembra fin’ora aver prodotto risultati significativi. Al contrario, il gruppo di contatto si è dimostrato impreparato ad affrontare il nuovo accendersi degli scontri e, a parte qualche monito proveniente da singole voci, anche esterne, è mancata un’azione coordinata e pianificata. Il problema non potrà essere affrontato se non con un impegno multilaterale efficiente ed efficace che non si potrà raggiungere finché persisteranno l’indisponibilità russa, la mancanza di un’azione programmatica e coerente Ue e finché Washington persisterà in escamotage che nascondono proiezioni unilaterali .

In un panorama molto più disordinato e caotico del passato, con un proliferare di focolai di tensione, la questione arabo israeliana non può essere posta in secondo piano né scavalcare le altre situazioni d’urgenza come la Libia,l’Iraq e l’Ucraina. Tutte questioni egualmente rilevanti e determinanti per la distensione e la sicurezza internazionale, la cui via d’uscita dipenderà principalmente dall’evoluzione delle variabili esogene, ovvero dalla capacità di reazione dei Paesi forti e stabili che devono dare prova di gestione di controllo delle crisi senza cadere nell’immagine di missionari della democrazia e portatori dei valori “universali/occidentali”. Un’impresa ardua ma non impossibile di cui il primo passo sarà un’autocritica e ammissione di responsabilità. Solo allora, come Filottete, saremo capaci di liberare Ercole dalla camicia di Nesso e la guerra arabo-israeliana, come l’eroe greco, morirà.

Foto: Palestine Solidarity Project, Flickr

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità