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Requiem per la sinistra

C'era una volta il partito che difendeva gli ultimi. Quelli senza padrini o amici potenti.
Da domenica sera possiamo recitare il requiem per il fu Partito Democratico, una volta partito progressista (almeno nelle intenzioni), aperto, che si batteva per i diritti civili, contro le discriminazioni.
 
L'intervista di Renzi a Che tempo che Fa ci racconta di un altro partito: spaziando dalla crisi internazionale, dalla riforma della giustizia, all'articolo 18, il presidente del Consiglio ha presentato la sua visione dell'Italia che costruirà.
 
E' andato negli Stati Uniti a visitare un'università privata e vuole importare questo modello per le università italiane. Dei cervelli in fuga non è preoccupato, perché comunque portano alta la bandiera italiana. Le scuole pubbliche che li hanno formati saranno contente. La globalizzazione? Può essere un'opportunità, perché spaventarsi? Forse perché poi arrivano i cinesi e ti fanno dumping e sei costretto a chiudere?
O perché le merci (il latte, la frutta, il caffè) lo importiamo da paesi con minori controlli, per far arricchire gli importatori all'ingrosso e mandare in crisi la filiera alimentare?
 
Ma è su giustizia e lavoro che mi sembrava di sentire parlare un vero leader. Di destra.
 
Non basta parlare di cambiamento per dirsi progressista. Non basta dire di voler cambiare le cose per sentirsi rivoluzionario. Le cose possono pure essere cambiate in peggio.
Come successo con la legge elettorale (peggiorata), con la riforma del Senato (di nominati) e quella delle province (rimaste, ma senza la possibilità di scegliere gli eletti).
 
Anche l'attuale riforma del lavoro, necessaria, se valutata da quello che leggiamo e sentiamo, non migliorerà le cose. 

Fazio ha chiesto a Renzi come mai, se l'articolo 18 divide i lavoratori in serie A o B, perché non si estende a tutti. La risposta è stato un panegirico in cui si è parlato di tutto per non rispondere. A parte la confusione lavoratori abitanti, sono le tesi che fanno paura. Deve essere non più il giudice che decide del reintegro, ma l'imprenditore deve essere lasciato libero di licenziare. Nel mondo renziano deve essere lo stato che si occuperà del senza lavoro, facendogli fare dei corsi di formazione (magari di quelli di cui ci ha parlato Iacona ieri sera dellaSicilia).
 
Perché è per questo che non attiriamo capitali e società straniere: non per la mafia, la corruzione, l'evasione, i tempi della giustizia, la burocrazia (temi poco toccati e nominati durante l'intervista). Togliamo l'articolo 18 e diamo all'imprenditore la certezza del diritto a licenziare. Stiamo parlando dei Riva, dei Marchionne o anche dei dirigenti della TPL che hanno sospeso i due autisti che si sono permessi di rilasciare un'intervista a Presa Diretta.
 
Questo è il mondo del lavoro in Italia. “Dobbiamo avere fiducia negli imprenditori [..] Questa è una rivoluzione: cambiamo il paese per i prossimo 20 anni.”.
 
Con che soldi, poi, si pagheranno questi corsi di formazione? Basteranno gli 1,5 miliardi di cui parla, assieme ai 20 miliardi della legge di stabilità?
Perché si è assicurato che non ci saranno tasse (basteranno i rincari di quelle esistenti).
Sulla cancellazione dei co co pro (e anomalie varie) possiamo solo credergli sulla parola. Non ho ancora capito se e come verranno migrati questi contratti “anomali”, se verranno aboliti o rimarranno.
 
Renzi ha spiegato come l'articolo 18 sia stato per anni una battaglia ideologica della sinistra (non lui, che non è di sinistra). Come se il progresso fosse abbattere tutte le ideologie. Come quelle che tutelano i più deboli.
Altro discorso sui controlli (NAS, fisco ..): le aziende non devono essere disturbate dai controlli. Questo ha detto: i “controlli” disturbano l'imprenditore. Facciamo un controllo concordato tutti assieme e poi basta?

Chi si oppone a questa visione, chi la critica, è uno di quelli che scommette sulla crisi dell'Italia. O si è con me o contro di me. Chi critica è uno di quelli che ha fatto scaricare la batteria della macchina lasciando la chiave inserita nel quadro (vedi che metafore si dicono, frequentando Marchionne).
E poi sono arrivati loro, l'esercito renziano, che si sono messi a spingere..
Con gli 80 euro (confermato), con la riduzione delle tasse sul lavoro, con lo sblocco del patto di stabilità per i comuni. E poi il TFR da versare direttamente in busta paga, la riforma della scuola con l'assunzione dei precari. I famosi 300 miliardi dall'Europa per gli investimenti.
 
Peccato che poi ci siano i tagli alla scuola, alla ricerca e all'università per quei 20 miliardi.
Peccato che l'Italia non sia riuscita a spendere quei 15 miliardi dei fondi strutturali europei.
Peccato che il reintegro nel posto del lavoro non sia un'anomalia solo italiana, ma che sia previsto anche in altri paesi. Dove forse gli investitori stranieri arrivano.
Peccato che non sia affatto vero che la Fiat (o FCA) tornerà ad investire in Italia.
Che non sono stati quelli che lui chiama gufi a scaricare la batteria: ma sono proprio i riciclati del partito, i suoi alleati per le riforme, quelli che fanno il tifo per lui sui giornali. Che i poteri forti erano al matrimonio di Carrai poche ore prima. Che avrà anche preso il 40% alle europee, ma alle primarie in Emilia erano in 57000, meno degli iscritti. La gente non crede più a questo meccanismo di scelta dei candidati. Fino a quando crederà in questo modello?
 
E poi la giustizia.
I problemi della giustizia vano un po' più in la della sterile polemica su ferie e stipendi (che riguardano solo la parte apicale dei magistrati). Che ne è della legge anti-corruzione, dell'autoriciclaggio, della abrogazione della ex-Cirielli per rivedere il meccanismo della prescrizione? Del processo penale telematico?
Potremmo chiederlo a Berlusconi, cui Renzi ora chiede cosa ha intenzione di fare.
 
La chiusa dell'intervista è stata lasciata allo slogan per la prossima Leopolda: “Il futuro è solo l'inizio”.
Quello che vediamo già ci basta, però.
 
Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.154) 30 settembre 2014 19:42

    Parlar chiaro >


    Per cogliere il nocciolo del dibattito sul reintegro (art.18) basta riflettere sugli effetti pratici che ne conseguono. Da ricordare che il licenziamento è l’atto voluto e deciso dal datore di lavoro con cui risolve in modo definitivo il rapporto con il dipendente.


    Secondo la vigente normativa, in caso di ricorso, il DATORE di lavoro è chiamato a “convincere” il Giudice della sussistenza di fondate e gravi ragioni che giustificano sia il provvedimento comminato, sia l’impraticabilità di un eventuale reintegro.


    Veniamo alla formula caldeggiata da RENZI. I CASI di possibile ricorso si riducono a due. Non solo.

    Sarà l’EX DIPENDENTE a dover “convincere” il Giudice di essere vittima di un atto “discriminatorio” oppure di un provvedimento disciplinare immotivato e/o spropositato.


    In pratica è un ribaltamento di ruoli e posizioni.

    E’ la parte soccombente (la più debole) che, per avvalersi del reintegro, è tenuta a dimostrare di essere bersaglio di un “sopruso”. DIFFICILE altresì pensare che il Giudice si faccia promotore di un’indagine mirata ad accertare fino in fondo la realtà dei fatti.


    Questa è la sostanziale “distanza” che separa le due versioni. Altro che simbolo ideologico, conservatorismo, miopia, memoria senza speranza, ecc..

    Il tempo non cancella le Voci dentro l’Eclissi esempio di coerenza, responsabilità …

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