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Rep. Ceca: approvato Trattato di Lisbona, ma il Presidente non lo promulga

Da domani Jan Fisher, in attesa delle elezioni legislative d’autunno, si insedierà alla guida di un” governo balneare” ed intanto richiama il suo partito agli impegni europei. 

Mentre tutta la Commissione Europea a Bruxelles era pronta a complimentarsi con il governo ceco, ancora per un giorno guidato dal liberale Mirek Topolanek, che attualmente detiene la presidenza di turno della confederazione a ventisette, a Praga si consumava l’ennesimo colpo di scena ai danni del Trattato di Lisbona, l’accordo minimo tra le nazioni comunitarie siglato per poter fare finalmente funzionare in maniera egregia le istituzioni europee.

Il presidente della Repubblica ceca Vaclav Klaus, infatti, nonostante il voto largamente favorevole al trattato del Senato, l’altro ramo del Parlamento già aveva ratificato l’accordo internazionale, prendendo spunto da un ventilato ricorso di un gruppo di senatori alla Corte costituzionale, che si è rifiutato di apporre la propria firma in calce al provvedimento legislativo di ratifica. Nella capitale ceca, intanto, il primo ministro entrante Jan Fisher, che da domani sarà premier a capo di un “governo balneare” formato al solo scopo di far terminare alla Nazione il semestre di presidenza europeo senza troppe brutte figure, ha auspicato per il proprio paese “l’imbocco deciso verso un ineluttabile processo di integrazione”.

Immediatamente, come visto, è stato smentito dal suo Presidente. C’è da notare però, che sia Klaus che il premier uscente Topolanek fanno parte dell’Ods, il partito liberal-democratico, da sempre euro-scettico, che solamente da poco tempo sta cercando di rivedere le proprie posizioni ostili verso Bruxelles.


Anche Fisher, più da indipendente, è vicino alle posizioni dell’Ods. Il Senato ceco aveva ratificato ieri l’altro il Trattato di Lisbona con 58 voti a favore e 20 contrari, ma un pugno di deputati ha annunciato per domani il deposito di un ricorso alla Corte Costituzionale, sostenendo che l’atto viola la sovranità ceca, solennemente garantita dalla Carta fondamentale della Repubblica, nata sulle ceneri del socialismo reale dopo la separazione con i “cugini“ slovacchi. In base ad un principio giuridico universalmente accettato infatti, il Trattato di Lisbona, in maniera più marcata rispetto alla Carta di Nizza attualmente in vigore, sostiene un principio elementare: “In Europa chi rappresenta il maggior numero di cittadini comanda”.

Correttivi sono previsti per garantire la partecipazione attiva anche dei paesi minori, come la Repubblica Ceca, ma ciò agli occhi di Klaus sa tanto di colonizzazione tedesca della sua Nazione. Il Presidente di un altro vicino della Germania, la Polonia, sta in questi mesi tenendo sotto scacco le istituzioni europee: Lech Kaczynski infatti, come Klaus a Praga, si sta rifiutando di apporre la propria firma in calce al Trattato di Lisbona, nonostante esso sia stato licenziato dal suo Parlamento. Sinora tra i nuovi paesi dell’Unione europea si stanno dimostrando euro-entusiasti solamente Romania, Ungheria, Slovacchia e Slovenia, questi ultimi due già in area Euro. C’è però da chiedersi fino a quando.

Le giovani democrazie dell’Europa centro-orientale devono però iniziare a capire che far parte dell’Europa non significa solamente ricevere da Bruxelles sovvenzioni a fondo perduto, ma anche modernizzare, in linea con gli standard occidentali, le proprie istituzioni ed abbandonare ogni politica di protezionismo economico-commerciale.

Certamente la chiusura coatta a cui le società di questi paesi sono state costrette da cinquant’anni di dittatura comunista, non aiuta affatto questa impermealizzazione verso l’esterno, che ha favorito la nascita di una mentalità assai provinciale ed autenticamente chiusa verso l’occidente. 

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