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Referendum 2.0

Il risultato del referendum del 12 e 13 Giugno non è solamente un segnale di un cambiamento del vento politico. È sintomo di una silenziosa rivoluzione civica online.

Al di là del risultato concreto del raggiungimento del quorum, dei quattro “Si” espressi dall’elettorato e oltre alle considerazioni politiche che scaturiscono da quella che è a tutti gli effetti una sconfitta per il governo, il risultato referendario di ieri pone una domanda più grande: come si spiega il raddoppiarsi degli elettori andati alle urne rispetto ai precedenti referendum? L’inaspettata rinascita del referendum è forse sintomo di mutamenti più importanti e duraturi nella nostra società?

Certo, è innegabile che il risultato referendario di lunedì rappresenti almeno in parte un gesto di sfiducia da parte dell’elettorato nei confronti del governo. Avrà almeno in parte ragione Massimo Franco che sulle pagine del «Corriere» ipotizza che l’alta affluenza sia stata causata proprio dall’invito di Bossi e Berlusconi a non votare. Gli ultimi referendum, quelli del 2009 e del 2005, avevano visto un’ affluenza rispettivamente del 23 e del 25%. In quei casi il governo (sempre di centrodestra) che si era espresso ancor più chiaramente a favore dell’astensione godeva di ben più alti tassi di gradimento rispetto ad oggi.

Ma non è una risposta soddisfacente. Nel 2009 votava soltanto il 23% degli Italiani, e domenica e lunedì invece si è recato alle urne quasi il 55% del Paese (57% escludendo gli italiani all’estero). Si tratta di oltre 10 milioni di persone in più. Difficilmente questo si spiega solamente con la crescente impopolarità del governo. Inoltre, le percentuali più basse di partecipazione al referendum al Nord sono state in Lombardia, proprio dove invece si erano visti i segni più evidenti di impazienza verso il governo nelle recenti amministrative.

Un’altra possibile causa dell’alta affluenza potrebbe essere la materia stessa dei quesiti referendari. Gli ultimi due referendum, sebbene composti da diversi quesiti, erano dedicati ciascuno ad un tema ben definito. Nel 2009 si parlava di legge elettorale, nel 2005 di fecondazione assistita. I quesiti del 2011 trattavano tre temi ben distinti tra di loro: acqua, nucleare e giustizia. È noto e non dovrebbe sorprendere che l’introdursi di più temi, di più quesiti in una tornata elettorale tende ad aumentare l’affluenza: insomma, chi ha un interesse particolare per la questione nucleare è probabile che recandosi alle urne voterà anche sull’acqua. L’ultimo referendum a raggiungere il quorum, quello del 1995, trattava di temi che spaziavano dalla privatizzazione della RAI alla custodia cautelare e le rappresentanze sindacali.

Ma il referendum del ‘95 si collocava al termine di un’era in cui il quorum era stato sempre o quasi raggiunto. Il voto del 2011, invece, ha visto 10 milioni di voti in più rispetto agli ultimi 15 anni di referendum. Questo è un vero e proprio cambiamento sismico se si considerano gli elementi che avrebbero dovuto nuocere all’affluenza. Ad esempio si potrebbe parlare del bel tempo che avrebbe dovuto tenere lontani dalle urne oppure della fatigue elettorale dovuta alla vicinanza delle amministrative di un mese prima e dei ballottaggi di due settimane prima.

Ma soffermiamoci su un altro dato: le televisioni, fonte privilegiata di informazione per gli italiani, hanno parlato di referendum molto meno rispetto agli anni passati. Addirittura il TG1 e il TG2 hanno comunicato nelle rispettive edizioni serali, non intenzionalmente si spera, giorni di votazione errati.

Se è vero che, quando si tratta di votare, sono i media a fare la differenza, come si spiega il raddoppiarsi dei votanti ai referendum quando proprio la TV viene meno a questo ruolo? Cosa è cambiato nel modo in cui gli italiani si informano rispetto al 2009 quando solo 11 milioni erano andati a votare?

Più di qualsiasi altro paese europeo, l’Italia dipende dalla televisione per la sua informazione. Nel dicembre del 2008, poco prima della precedente consultazione referendaria, il Censis stimava che l’85,6% degli Italiani seguiva abitualmente la televisione. Lo stesso sondaggio indicava che solo il 7,6% dell’elettorato usava internet come fonte informativa.

A prima vista, poco è cambiato da allora. La TV rimane il mezzo mediatico preferito degli italiani e sempre a discapito della stampa. D’altra parte l’uso di internet non solo ha continuato a diffondersi: per meglio dire, è cambiato completamente.

Sono state spese tante parole sulla rivoluzione copernicana che ha fatto la rete questi ultimi anni, passando da strumento passivo e teatro di blog e giornali online a piattaforma attiva e democratica attraverso strumenti come i social network. Si è parlato tanto di Facebook e diYoutube come motori dell’elezione di Obama; di Twitter come propagatore della primavera araba.Che l’Italia stia finalmente scoprendo una forma di civismo online?

Forse dove si è registrata la più forte spinta a favore della partecipazione al referendum è stato proprio su Facebook, dove sono state decine i gruppi a favore dei “Sì” o perlomeno del voto, spesso contando svariate centinaia di migliaia di iscritti ciascuno. I social network consentono non solo di scegliere e seguire notizie ma soprattutto di propagarle. Si ha dunque un effetto moltiplicatore in cui una persona intenzionata a votare informa e spesso persuade altri a fare lo stesso. L’effetto moltiplicatore si estende anche al di là dei social network nel momento in cui chi è informato attraverso internet ricorda ad altri, magari non attivi su internet, di andare a votare.

La campagna pro-referendum ha anche un impatto sul come si vota. Uno dei movimenti più interessanti visto su Facebook e su Twitter negli ultimi giorni chiedeva agli elettori di recarsi il più presto possibile alle urne la mattina del voto, affinché sui media generalisti ci fossero proiezioni ottimiste dell’affluenza finale che convincessero altri ancora a votare.

È reale questo cambiamento? Di certo i social network sono uno strumento efficace per mobilitare ma esistevano già da prima e dipendono dal raggiungimento di masse critiche.

Poco prima del referendum del 2009 infatti gli iscritti a Facebook erano per il Censis poco più di un milione. Una rivelazione del 6 giugno 2011 invece, ovvero pochi giorni prima del voto appena passato, trovava ben 19,2 milioni di utenti italiani attivi. La differenza dunque, in questo voto, la può aver fatta proprio questo aumento esponenziale di penetrazione dei social network e della forma di «civismo 2.0» che ne consegue.

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