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Roma chiede una svolta

Vi segnalo un interessante articolo del Cons.Giulio Pelonzi dal titolo "Roma chiede una svolta", avente per oggetto la realtà romana del PD nella fase precongressuale.


La lettura della realtà fornita dal direttore nel suo editoriale “Roma, dal miracolo all’incubo” non è conforme a quanto – da consigliere comunale – percepisco stia accadendo a Roma.

Il punto di partenza dell’analisi è condivisibile.

La fusione è un valore”. Se lo è mi chiedo perché è giudicato negativamente chi ha il coraggio di lasciare le aree di provenienza per gettare davvero le basi di un nuovo partito? Il valore delle contaminazioni e il ricambio della classe dirigente dal basso non deve e non può essere letto come lotta di potere.

Oltre il danno anche la beffa: essere additati prima come la causa del fallimento di un progetto e poi come dei “traditori”.

Il flop elettorale ha come causa la crisi e la decadenza del modello Roma che è imputabile a molti elementi non identificabili solo nella figura del candidato a sindaco o nell’abbandono di Veltroni – percepito erroneamente come tradimento dai cittadini – e neanche però nella considerazione che il Pd di Roma «sia nel suo insieme un partito condizionato dalle logiche di potere», visto che fino ad oggi è stato gestito direttamente dal livello nazionale.

È proprio la mancanza di autonomia decisionale che ha portato i gruppi dirigenti romani che vedono nel Pd disegnato come partito federale, radicato nei territori e nella selezione della classe dirigente dal basso, un’occasione per mettersi in gioco e per ricostruire quei punti di forza che per molti anni ci hanno fatto governare la città di Roma. Sono queste considerazioni, tutte politiche, che si ritrovano nella mozione Bersani, a spingere un gruppo dirigente, finora schiacciato da logiche di potere, a liberarsene.

Oggi è la città tutta che rifiuta quelle leadership e quei modelli e che ci sta chiedendo il cambiamento che stiamo attuando.

L’efficacia della nostra azione di opposizione al sindaco Alemanno può sicuramente essere migliorata a patto che sia raggiunta una piena autonomia della classe dirigente romana rispetto ai programmi e ai progetti ereditati dal passato, oggi non più condivisi, e che si organizzi un partito in grado di portare fuori dall’aula Giulio Cesare, nelle piazze e nelle strade della città, le battaglie che da istituzionali devono diventare sociali.

Credo fortemente che la politica di prossimità sia l’elemento determinante per la ripresa del partito a Roma e per alimentarla bisogna dare nuova forza al sistema dei circoli e maggiore dignità alla figura dei militanti.

Luoghi e persone che rappresentano il partito tutto e che esistono a prescindere dal circuito dei media. A loro spetta una prima elaborazione dei problemi legati ai territori perché li vivono quotidianamente.

A loro deve essere garantito il diritto di scegliere chi li rappresenta, senza trovarsi di fronte a chi “viene calato dall’alto”.

Spetta a queste persone il coraggio del cambiamento e il compito di disegnare il nuovo Partito democratico del futuro.

Auspico che si formi nel tempo una nuova area culturale e una nuova classe dirigente, non sulla base di filiere più o meno nobili, ma su un nuovo progetto per la città che, dalle ceneri del modello Roma, alimenti il fuoco dell’opposizione ad una destra che rischia di portare la città ad un nuovo Medioevo.

Giulio Pelonzi*

*consigliere comunale del Pd di Roma
 

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