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Prima la politica poi i gazebo. La "non-soluzione" Vendola

Siamo alle solite. Talmente condizionati dalla non-politica berlusconiana, continuiamo a sfidarlo sul suo stesso campo. Quello della personalizzazione della politica, della assoluta mancanza di un progetto compiuto e definito, dell’assenza di un’identità chiara e distinta. L’assurda politica del nome apposto sotto il simbolo del Partito. Un nome dietro l’altro, un carosello di unti dal Signore, di presunti salvatori della Patria.
 
Oggi tocca a Nicola Vendola. E’ uscito allo scoperto: a lui Ritanna Armeni attribuisce non ben specificate proprietà taumaturgiche (sarà per la sua fede in Padre Pio?) che potrebbero permettergli di “vincere le primarie del Pd”. Primarie del Pd? Cioè? Semmai le primarie di coalizione, come quelle che videro protagonisti Prodi e Bertinotti. Ma tant’è.
 
E’ partita la volata tirata con la consueta parzialità di certa stampa che afferma che Vendola piace ai militanti del Pd e ad alcuni dirigenti. Si elencano intellettuali che tifano per lui, si fanno i nomi di imprenditori, si tirano per la giacchetta personaggi come don Luigi Ciotti.
 
Il Pd? Vendola affascina i simpatizzanti del “partito liquido” nella base, dei giovani, delle “anime belle”, molti malpancisti cronici, ma soprattutto è il grimaldello che alcuni dirigenti in discesa, sconfitti dalle loro stesse armi, le primarie, vorrebbero usare per scardinare una segreteria che non gradiscono. La riproposizione è quella, di nuovo, di un partito liquido, senza un progetto politico, che improvvisamente, individua un leader, se ne appropria e lo immola sull’altare della Patria. Verrebbe da dire: E no, adesso basta falsi miracoli!
 
Il Pd dovrebbe ripartire dal semplice, classico, schema, ovvero una piattaforma programmatica seria, riformista, aperta, in cui tutti si riconoscano e che dia a questo centrosinistra quell’identità di cui si sente l’esigenza. E nel frattempo cercare i giusti “interpreti” di quelle idee e dopo trovare quel leader in grado di battere le destre.
Incantare il popolo, suggestionarlo è facile. Lo abbiamo visto. Rinunciare, anche a sinistra, alla proposizione di un serio progetto politico serio che sia alternativa credibile al populismo superficiale delle destre, è quanto mai grave. E il fenomeno Vendola rischia di significare questo, leader di un partito che non arriva nemmeno al 3% alla perenne ricerca di una casa in cui inserirsi e che rincorre la vecchia e cara ideologia della soddisfazione dei bisogni dimenticando ancora una volta quel difficile discorso legato alle “esigenze” degli esseri umani.
 
L’Italia ha bisogno di altro. Ha bisogno di ricreare un pensiero politico nuovo, di centrosinistra, riformista, capace di coniugare l’uguaglianza con la libertà, che abbatta le disuguaglianze sociali e al contempo favorisca la realizzazione delle esigenze di ciascuno. Un progetto politico nuovo che ribadisca la priorità della politica e che, soprattutto, rimetta l’uomo al centro, una sorta di nuovo Umanesimo.
Questo finora non c’è stato. Qualcosa nel PD si muove, qualcuno timidamente ne fa cenno ma di certo non si vede in SeL e neanche nel suo leader. Un personaggio costruito, gommoso, parte di una liturgia che lo vuole di sinistra, comunista, cattolico, devoto di Padre Pio, onesto, vincente, insomma una sorta di Frankenstein buono per tutte le stagioni. Il prodotto di quel massimalismo derivante dalla disperazione politica. Quella disperazione in cui siamo caduti per la mancanza di un pensiero e dalla quale, non trovando vie d’uscita, ci sentiamo sopraffatti e ossessionati. L’uscita di emergenza che ci viene proposta, l’uomo della provvidenza, non è però reale, è un palliativo, una falsa rappresentazione della realtà. Ha detto Vendola: “Dobbiamo smetterla di concepire la politica come semplice e feroce competizione. L’idea che la politica sia solo competizione, annientamento del nemico, è l’espressione del berlusconismo che è dilagato nella nostra società e si è largamente insediato anche a sinistra”.
 
L’espressione più forte del berlusconismo è invece, a nostro avviso, la personalizzazione della politica da lui largamente praticata (le fabbriche di Nichi, il suo nome riportato nel simbolo del partito, l’esercito di Nichi). E’ proprio ipotizzare che possa esistere un modo di fare politica diverso da una sana competizione delle idee, l’espressione più verace del berlusconismo. E’ il partito dell’amore, l’ “animabellismo”, il voler sfumare a tutti i costi i colori e le differenze creando un indefinito acquerello populista dove non c’è differenza fra destra e sinistra, dove si può dire tutto e il contrario di tutto. Nel quale sopravvivono solo i leader in TV che evocano improbabili scenari travolgenti e traboccanti di passioni. L’assunzione del maggioritario, una scellerata legge elettorale e un falso presidenzialismo hanno alimentato questa personalizzazione della politica, svuotando di fatto le assemblee elettive. Ed il vero tema per il quale i parlamentari di centrosinistra si sarebbero dovuti incatenare in aula è la riforma di questa legge elettorale. Ma tutto tace.
L’idea invece, il sogno, il progetto, il desiderio è quello di ripartire dal Partito, di creare una vera forza politica di centrosinistra, aperta, riformista, dialogante, responsabile, solidale ed egualitaria. Sotto il vessillo del PD per dialogare poi con il centro.
 
I leader, la classe dirigente verrà fuori da sola, senza bisogno di evocare nuovi uomini della provvidenza. 
 
Nicola Vendola sfida il Pd sul suo campo, quello accidentato delle primarie. è un suo diritto e nessuno glielo può negare, ma nessuno all’interno del PD dovrebbe pensare di poterlo sfruttare per altri fini, sicuramente meno nobili. Una volta questa si chiamava “intelligenza con il nemico”. Ora, più semplicemente, non si chiama nemmeno più. Non riusciamo neanche ad indignarci. Berlusconi ci ha scippato anche questa capacità. 

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