• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Società > Quote rosa: valorizzazione o discriminazione?

Quote rosa: valorizzazione o discriminazione?

Colgo l’occasione della sentenza con la quale il Tar del Lazio ha dichiarato illegittima la giunta del sindaco Alemanno - perché non conforme alla "presenza equilibrata di uomini e donne" prevista dallo statuto del comune di Roma - per alcune considerazioni che forse rappresentano una voce fuori dal coro, forse no. 

Certe volte ho la sensazione che, quando si toccano le questioni di genere, si finisca per perdere di vista alcuni capisaldi della gestione di una società moderna e democratica come la nostra e, primo fra tutti, il fatto che una qualunque posizione, di potere e di responsabilità, vada occupata da chi ha le competenze necessarie a farlo.

Non entro in merito alla composizione della giunta del comune di Roma, né alle scelte del sindaco Alemanno (che ieri ha presentato ufficialmente il nuovo assessore Rosella Sensi, ex presidente della AS Roma), l’argomento infatti ritorna in voga periodicamente e trasversalmente alla varie forze politiche.

Quello che non capisco è per quale motivo, in linea di principio, si debba eliminare dalla giunta un uomo che, in teoria, dovrebbe essere stato scelto per le sue capacità. E tutto ciò non per motivi tecnici o per migliorare la gestione della città ma per incompatibilità di sesso. Come se colorare di rosa la giunta fosse una priorità assoluta, “metteteci qualcuno, chi vi pare, purché sia femmina”.

Con ciò non voglio certo dire che mancano donne competenti e meritevoli di fare l’assessore del comune di Roma. Il problema è un altro.

Il concetto di quota, in fatto di genere è, a mio parere, sbagliato di per sé. Le quote si fanno quando due o più gruppi devono spartirsi qualcosa ma maschi e femmine - o uomini e donne, se si preferisce - nella loro completa e totale uguaglianza non sono per nulla due gruppi contrapposti.

E se donne e uomini sono uguali, cosa che io credevo fosse scontata, non capisco che senso abbia affannarsi tanto a rivendicare qualcosa in virtù del proprio sesso e non delle proprie capacità. E non mi riferisco alle capacità in quanto donne, o in quanto uomini, ma alle semplici capacità personali e individuali con le quali competere con tutti gli altri appartenenti alla nostra specie, siano essi maschi o femmine, etero o omo, ecc.

Mi si permetta di dire che personalmente mi sentirei discriminata all’idea di appartenere ad una categoria difesa dalla legge esclusivamente in virtù del mio essere donna.

Ma se poi noi donne fossimo ancora veramente convinte di essere discriminate perché donne, non sarà forse controproducente rivendicare di essere normali (= maschi) chiedendo che la legge ci riconosca a tutti i costi come speciali (= donne)?

Commenti all'articolo

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares