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Quelli che ce l’hanno con Wikileaks

Ormai tutti conoscono Wikileaks, il sito che pubblica documenti che i governi e le aziende di tutto il mondo preferirebbero nascondere e mantenere riservati e ora che è universalmente noto, per il sito e per il suo fondatore, Julian Assange sono cominciati i guai.

Capita sempre quando qualcuno ha un’idea innovativa e pregevole che a un certo punto i concorrenti, i danneggiati dalla sua attività e una lunga teoria di soggetti che tradizionalmente sono reciprocamente ostili, si ritrovino insieme a parlarne male. Anche a costo di lasciarci la faccia o di coprirsi di ridicolo e incuranti del fatto che alcune accuse appaiano in contrapposizione tra loro. Il colpevole si trova in questi casi, al minimo, accusato di voler "monetizzare" il successo, accusa spesso lanciata senza il minimo imbarazzato da gente che venderebbe la madre per quattro euro o un quarto d’ora di fama.

È così che nel caso di Wikileaks possiamo godere della follia offerta dall’infosfera al massimo grado, poiché alla massima rilevanza assunta dal sito corrisponde sempre la massima mobilitazione dei furbacchioni.

I più titolati a parlarne male sono sicuramente i servizi governativi americani, dall’esercito fino alla CIA e allo stesso governo, gli Stati Uniti si sono mobilitati a tutti i livelli per cercare di delegittimare il sito e le sue attività. La recente pubblicazione di migliaia di documenti americani riservati ha così sollevato l’accusa di aver messo in pericolo i "nostri ragazzi" e presto anche quella di aver messo in pericolo gli "afghani buoni", con l’ingresso in campo di Amnesty International e Reporters Sans Frontieres. Che a mettere in pericolo gli uni e gli altri siano stati gli evidenti crimini commessi dalle truppe americane non è venuto in mente a nessuno, ancora meno ai media statunitensi che si sono fatti scippare gli scoop e il ruolo di cani da guardia della democrazia e che di questi tempi sono prodighi di consigli, non richiesti e spesso interessati, a Wikileaks.

A ruota sono arrivati i media occidentali allineati, dal mainstream fino all’ultimo dei blog dei sostenitori dell’avventura bellica è stato un vero e proprio florilegio. Mercoledi ad esempio IlPost; il sito diretto da Luca Sofri che aspira, come tanti, a diventare l’Huffington Post italiano e che la mena molto con la correttezza dell’informazione ha pubblicato l’ennesima critica a Wikilieaks per mezzo di un articolo ridicolo e falso che ha preso di mira Julian Assange.

Il geniale autore ha preso spunto dall’annuncio della collaborazione di Assange con il quotidiano svedese Aftonbladet, un editoriale bimestrale, per accusare il quotidiano di sinistra di essere antisemita e quindi Assange di frequentare brutta gente. Secondo IlPost Aftonbladet sarebbe antisemità perché ha pubblicato della interviste ad alcuni palestinesi che denunciavano come Israele avesse loro restituito i corpi di alcuni parenti dopo averne prelevato gli organi. Iniziativa che fece gridare allo scandalo Israele e anche il nostro ministro degli esteri Frattini.

Peccato che la notizia fosse vera e che lo scandalo avesse anche avuto un seguito giudiziario in Israele, (dove i parenti israeliani dei depredati, le vittime non erano solo palestinesi, fecero causa all’istituto di medicina legale) poi caduto opportunamente nel dimenticatoio, da dove nessuno dei sedicenti giornalisti occidentali aveva giudicato opportuno ripescarlo. Niente Aftonbladet antisemita quindi e articolo assurdo tanto per prendersela con Assange, alla faccia della correttezza e delle altre pippe con le quali si cerca d’infiorettare gli articoli di genialità inespresse come Filippo Facci, Francesco Costa e altri.

Non potevano mancare critiche di segno diverse e così non ci siamo risparmiati nemmeno le accuse di quelli che dicono che Wikileaks è in realtà un’astuta operazione di depistaggio degli americani, è il caso della frangia di freak innamorati del complotto a tutti i costi. La tesi, in questo caso, sarebbe dimostrata dal fatto che Assange si sia detto incredulo delle varie versioni di complotto partorite attorno agli attacchi dell’undici settembre 2001. Assange non crede alla somma delle ipotesi, spesso contraddittorie, che cercano di attribuire il 9/11 a un’operazione americana (o israeliana), non crede alle torri minate e agli aerei telecomandati e quindi non può che essere un "servo degli americani" o un complice dei "sionisti".

Pattume e calunnie di segno diverso che convergono all’attacco di un gruppo di persone che ha avuto una felice intuizione e che, per quello che si può dedurre finora, opera in favore della libertà d’informazione e del disvelamento dei segreti che il potere, sia quello politico o quello economico, vorrebbe mantenere tali per non rendere conto alle opinioni pubbliche. Non è paradossale che attiri critiche di segno opposto e non solo perché è evidente che il fronte "complottista" fa in pratica il gioco dei poteri che dice di voler combattere, indicando a milioni di persone e di appassionati del genere e distraendoli così dai crimini evidenti e dalle criminali complicità che sono sotto gli occhi di tutti.

Sono dinamiche già ampiamente conosciute e discusse, per le quali interessi e personaggi di solito in conflitto trovano il loro interesse ad attaccare chi getta il sasso nello stagno dell’infomazione. Uno stagno popolato per lo più da ranocchi dalla bocca larga, interessati a raccontare ciascuno la propria storia al proprio target di riferimento, con poco riguardo per la verità, la logica e i fatti. Tutta roba da piegare alla convenienza del momento, visto che la realtà è complessa e quasi mai gradevole a senso unico e visto che l’infosfera sembra popolata quasi esclusivamente da gente incapace di ammettere di aver sostenuto tesi o iniziative sbagliate o di dare notizie spiacevoli per la squadra nella quale milit(onteggi)a.

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