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Quelli che ami non muoiono

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A cinquant’anni è tempo di bilanci, e a ricordarcelo ora è lo scrittore Mario Fortunato con il suo ultimo libro “Quelli che ami non muoiono”, edito da Bompiani.

Il titolo riprende un verso di Iosif Brodskij poiché, come dice l’autore stesso “le persone che si sono conosciute e amate in qualche modo non muoiono, nel caso specifico soprattutto grazie alla scrittura. La scrittura, fissando la memoria, restituisce una forma di eternità
E lui di persone da amare e ricordare ne ha conosciute molte, nomi importanti già iscritti nell’olimpo della letteratura, ma proprio per questo amici, compagni di cordata uniti dallo stesso amore per l’arte della scrittura, un amore incondizionato che diventa vita e con essa si confonde fino al punto in cui è difficile capire dove inizia l’una e dove termina l’altra.


“Il libro è nato da un trasloco. Lasciando la casa di Londra e di Roma mi sono accorto di avere accumulato una quantità di nastri registrati, quadernetti di appunti, cartoline straordinarie di persone morte. Essendo vicino ai cinquant’anni, ho deciso di scrivere un racconto, parlare del mio passato e fare un bilancio della vita”

In un libro in bilico tra autobiografia e romanzo, Mario Fortunato ci racconta vent’anni della sua esistenza che sono anche vent’anni di letteratura trascorsi in compagnia di amici come Moravia, Doris Lessing, Pier Vittorio Tondelli, Giulio Einaudi, Natalia Ginzburg, Giorgio Manganelli, Borges, Auster, Bassani, Yehoshua, Ben Jelloun, ed altri ancora, e ce li racconta con una varietà di ricordi e aneddoti che danno alla narrazione la vivacità necessaria per non cadere nella pura apologia, pur senza mancare di partecipazione e intensità emotiva, mentre a scorrere su tutto è la malinconia nostalgica per un mondo che sembra essersi concluso e del quale egli stesso dice: “c’è stata la scomparsa di un mondo, di un clima culturale, di una civiltà. Sono peggiorati i media, è peggiorato il mondo dell’editoria. Quando lavoravo all’Espresso potevo proporre un’inchiesta sugli scrittori israeliani e andarmene in Israele per un mese. Oggi una cosa del genere sarebbe impensabile, in qualsiasi giornale. C’è stato un cambiamento oggettivo, che personalmente giudico come un peggioramento. Prima c’era l’editoria, poi è arrivato il marketing, un atteggiamento più volgare e superficiale. Ma anche senza esprimere un giudizio di merito, è stato come il crollo del muro di Berlino: un mutamento radicale di scenario. Il problema per me è che mi sono sentito come l’anello mancante di questa catena: avevo un piede nel vecchio mondo e ho, e spero di avere ancora a lungo, l’altro piede in questo nuovo”

 

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Mario Fortunato è uno scrittore che si è fatto da solo, guadagnandosi la stima sul campo; quando nel 2002 il governo Berlusconi cercò di rimuoverlo dalla direzione dell’Istituto italiano di cultura a Londra perché ’comunista e omosessuale’, passò forse il momento più brutto della sua vita, ma poi arrivò la lettera aperta degli intellettuali inglesi e italiani che si schierarono in suo favore (Harold Pinter, Doris Lessing, Salman Rushdie, Hanif Kureishi, Ken Loach, Colin Firth, Umberto Eco Michelangelo Antonioni, tanto per citarne alcuni), e allora capì che "anche se mi avessero cacciato ero un uomo fortunato”, perché, come gli disse una volta Moravia, tra gli scrittori “non ci sono maestri, ci sono molti fratelli e sorelle” 

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