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Putin, la censura e l’importanza delle parolacce

 
Lunedì 6 maggio il premier russo Vladimir Putin ha firmato un disegno di legge che vieterà l’uso di espressioni volgari nei film, nei programmi televisivi e negli spettacoli teatrali. Una forma di censura che riguarderà tutti i media e che entrerà in vigore a partire dal 1° luglio. Le ammende andranno dai 2500 rubli (50 euro) per i singoli cittadini ai 50000 rubli (1013 euro) per le aziende e le organizzazioni. Gli editori che contravverranno a tale legge potranno rischiare di perdere la propria licenza, e sui libri contenenti passaggi ritenuti contrari al buon gusto bisognerà apporre un’avvertenza in copertina. 

Lo spettro del provvedimento si aggirava per i corridoi della Duma già da tempo: si tratta infatti di un altro colpo alla libertà d’espressione sferrato dal premier russo, in un braccio di ferro crescente, oltreché che con le resistenze interne, anche con l’opinione pubblica occidentale.

Prima vennero le leggi contro la propaganda omosessuale, poi, il 23 aprile, un provvedimento mirato a colpire i blog con più di 3000 visite al giorno. La notizia della legge che regolamenta i meccanismi di blog e siti internet fu peraltro riportata dall’agenzia di stampa Russia Today diretta da Dimitri Kiseliov, il direttore della propaganda di Putin. Il giornalista, che incarna e consolida la distanza politica consumatasi tra la Russia e l’Europa, recentemente si è fatto notare per aver dichiarato a proposito degli omosessuali che “se muoiono in un incidente d'auto, bisognerebbe seppellirne il cuore o incenerirlo”.

Secondo quanto riportato dal New Yorker, il colpo che la censura infligge al linguaggio volgare mira a quattro improperi fondamentali, che nel mat, lo slang volgare russo, sono veri capisaldi lessicali: khuy (“cazzo”), pizda (“fica”), ebat’ ("fottere") e blyad (“puttana”). La scelta dei quattro lemmi proibiti - e delle decine di varianti che la creatività del linguaggio consente - sarebbe secondo il Moscow Time responsabilità della prestigiosa Accademia Russa delle Scienze. La decisione trova del resto l’appoggio della Chiesa ortodossa russa, che guarda criticamente al mat come a una depravazione morale diffusasi a partire dall’Occidente sull’onda della cultura di massa.

Il Ministero della Cultura russo fa comunque sapere che la restrizione si applicherà solo alla cultura popolare e non riguarderà le arti. Se così fosse, peraltro, vorrebbe dire che il Ministero della Cultura russo avrebbe risolto uno dei più annosi problemi della storia della filosofia, riuscendo finalmente a distinguere l’arte e l’altro dall’arte.

La faccenda in realtà è molto seria perché l’ostracismo nei confronti della parola volgare è un oltraggio al valore dissacrante del linguaggio, alla sua forza dislocante. La parola ingiuriosa rompe i limiti del convenzionale, si libera e libera il discorso da certe costrizioni, da certe etichette. L’irruzione della parola “contraria al buon gusto” insegna la relatività del gusto, e grida nella violenza della sua in-formalità un appello al rifiuto, alla libertà dell’espressione.

D’altronde ha capito una cosa importante, Putin, se è vero ciò che diceva Deleuze della letteratura, cioè che lo scrittore deve far delirare la lingua, fino a trasformarla in un idioma straniero in grado di “inventare un popolo che ancora non c’è”. Ferire la libertà del linguaggio nel suo nucleo più eversivo per salvaguardare la civiltà dal pericolo dello scandalo è forse il modo più efficace di mortificare il dissenso

Sarebbe curioso domandare al premier russo che fine farebbe, nella sua visione di linguaggio soggetto a vincoli di legge, la fiaba in versi di Puskin, Zar Nikita e le sue quaranta figlie, dove il poeta si domanda a un certo punto come fare a nominare l’organo sessuale delle fanciulle:

“Allora che cos’è questo qualcosa,
che la censura sciocca e altezzosa
fa divieto di menzionare
ed io non posso qui spiegare?
Come faccio? Chi mi viene in aiuto?
Il pudore mi vuole muto.”

 

Era il 1822.

P.S. Questa storia non vi ricorda qualcosa?

 

Foto: Thierry Ehrmann/Flickr

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.94) 8 maggio 2014 14:26

    Si può esprimere ogni concetto e ogni pensiero senza essere volgari. Ma ormai la volgarità di parole e comportamenti e diventata, a sostegno della libertà di espressione, un qualcosa da cui non si riesce più a distaccarsi in quanto tutto oggi ,e dico proprio tutto, è pregno di gratuita volgarità.

    P.S. Dante ha scritto la Divina Commedia senza chiedersi di come chiamare gli organi sessuali di chicchessia...capito?
    • Di illupodeicieli (---.---.---.216) 8 maggio 2014 18:17

      Avevo trovato qualcosa proprio su Dante e la Divina Commedia ma non sono riuscito a postare il commento. Ho trovato questo :
       Anche Dante aveva usato quest’ultimo termine (sempre nell’Inferno: «Al fine de le sue parole il ladro / le mani alzò con amendue le fiche, /gridando: “Togli, Dio, ch’a te le squadro!”), ma la sua forma più diffusa la dobbiamo all’Aretino, che la usa per la prima volta nella commedia Il Marescalco del 1533.

      L’articolo completo lo trovi qui http://www.ilfattoquotidiano.it/201...
      ed è del 24 novembre 2011, quindi non c’è un collegamento con l’articolo su Putin e sui suoi provvedimenti. Sono comunque d’accordo con Putin e con chi difende e tutela gli interessi e la cultura della propria nazione.

  • Di illupodeicieli (---.---.---.216) 8 maggio 2014 18:10

    Però il buon Dante ha scritto, proprio nella Divina Commedia, anche altro.

     Ma fermiamoci a Dante, il “sommo”, il poeta per eccellenza che si studia nelle scuole. Prendiamo la sua Divina commedia. Il canto XVII dell’Inferno, dove di parla della «sozza e scapigliata» Taide, «puttana… che là si graffia con le unghie merdose», e del suo vicino Alessio Inteminei: «E mentre ch’io là giù con l’occhio cerco, vidi un col capo sì di merda lordo, che non parëa s’era laico o cherco». Sempre nell’Inferno, il famoso verso: «Per l’argine sinistro volta dienno; ma prima avea ciascun la lingua stretta coi denti, verso lor duca, per cenno; ed elli avea del cul fatto trombetta». Qualche libro dopo: «Già veggia, per mezzul perdere o lulla, com’ io vidi un, così non si pertugia, rotto dal mento infin dove si trulla. Tra le gambe pendevan le minugia; la corata pareva e ’l tristo sacco che  merda fa di quel che si trangugia».
    http://www.ilfattoquotidiano.it/201...

    Dove puoi trovare anche altro e sempre sull’uso delle parolacce nei secoli. Non sono un fautore del turpiloquio, anche se riconosco che quando ci vuole ci vuole: ma anche per il nostro comico e politico Grillo, lo preferisco quando lui va al sodo e parla dei problemi e di come si possono risolvere. Sono d’accordo con Putin quando vuole difendere la cultura e le tradizioni della propria nazione, cosa che noi abbiamo da tempo dimenticato.

  • Di (---.---.---.179) 9 maggio 2014 13:08

    E’ vero, Dante si è concesso qualche libertà nel suo immenso capolavoro, piccole licenze in un mare di poesia. Ma quando viene rapportato alla quasi totalità del turpiloquio dilagante quale rafforzativo di scarne idee, viva allora "avea del cul fatto trombetta" (che ci fa tra l’altro sorridere).


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