• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Media > Israele, the show must go on

Israele, the show must go on

Lo scorso 8 luglio la produzione del Grande Fratello israeliano ha deciso di comunicare ai concorrenti la verità su quel che stava accadendo nel loro Paese. Da allora, lo show non è stato ancora sospeso.

Gerusalemme, Israele. Il suono irrompe nel chiacchiericcio stanco della casa come un urlo. Viene dall’esterno. I ragazzi ci mettono qualche secondo a capire cosa sta succedendo, sui loro volti segnati dalla cattività si legge improvvisamente uno stupore animale. È il suono di un allarme. Una voce neutrale si diffonde attraverso gli altoparlanti mentre gli ospiti si dirigono verso una stanza blindata, al riparo. I ragazzi conoscono quell’allarme, si agitano, parlano in maniera concitata. La voce neutrale decide di infrangere le regole, spiega cosa accade.

La guerra è entrata nella casa del Grande Fratello.

La realtà, stanca di restare indifferente, bussa contro i muri dell’universo simulacrale del programma e manifesta la sua presenza in gran stile: con le sirene della contraerea israeliana. Costretti dagli eventi, i produttori decidono di spiegare ai partecipanti cosa accade, rassicurandoli sullo stato delle loro famiglie. Perché non interrompere lo show? Per motivi economici, la stagione del programma è appena a metà del suo percorso, e non sarà certo qualche razzo Qassam a mettere fine a una delle trasmissioni più amate nel Paese. Semplicemente, i concorrenti dovranno ora fare i conti con la possibilità della guerra. Ma niente paura: nella casa c’è un rifugio antiaereo.

L’orrore ai tempi dei nuovi media si propaga in una molteplicità di dispositivi che fanno da eco, parcellizzano e smaterializzano la tragedia. La morte e la sofferenza arrivano in diretta, in tempo reale sui nostri schermi, tutto è mostrato nella sua enormità e proprio per questo reso sfuggevole, diluito. Lo schermo gioca questo scherzo alla nostra sensibilità, la diseduca alla sensazione e l’anestetizza con il sensazionalismo. Le immagini delle bombe sembrano tratte da un videogioco di guerra, la loro ambiguità ci chiede di maneggiarle con cura, ci pone di fronte a una responsabilità etica in quanto spettatori.

Ma questa distorsione prospettica spinge il suo orizzonte più in là quando la possibilità dei razzi irrompe sul palcoscenico paradigmatico della finzione; il luogo in cui le telecamere sono fisse, inamovibili, il luogo in cui non è il nostro sguardo occidentale, impotente e già solo per questo complice, a esser fuori posto, ma la presenza troppo ingombrante del mondo di fuori. Alla possibilità dei razzi che brucia il cielo di carta del Grande Fratello, il programma risponde che si deve andare avanti, che l’audience è ancora alta, che non può darsi alcuna tregua.

Anche a Gaza ci sono case, le telecamere non stanno dentro ma fuori, e le immagini del programma che vediamo ogni giorno ci hanno insegnato che lì l’arrivo di un missile non è segnalato da un allarme, ma da altri missili, più piccoli. Qualcuno si è interrogato sull’opportunità di andare avanti, ma la produzione ha risposto che non si può interrompere lo spettacolo. Non ancora.

 

 

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità